L’assedio ai pastori nel “castello” dell’economia

Le ragioni della protesta del Movimento Pastori Sardi – manifestazione a Cagliari martedì 14 settembre – analisi di mercato evidenziano in Sardegna una perdita del 25% del prezzo di vendita del latte per i produttori nell’ultimo biennio – il paradossale caso Italia denunciato da “Sole 24ore” e dal Quotidiano “Avvenire”

avvenire
Quotidiano Avvenire (7 settembre 2010, p. 18) - Articolo sulle ragioni della protesta del Movimento Pastori Sardi e il paradossale caso Italia.

Stupore, disorientamento e dispetto sono le sensazioni immediate che accompagnano la lettura delle notizie rinvenibili negli articoli di giornalismo di questi ultimi giorni in stretta connessione alle ragioni della protesta del movimento dei pastori sardi.
Due le fonti di spunto al presente scritto: la prima Lunedì 6 Settembre 2010, con la pubblicazione, sul sito del quotidiano Il Sole 24 Ore, del pezzo di Andrea Franceschi dal titolo “Lo strano caso della ricotta «made in Romania» prodotta con i soldi dello stato italiano“; il secondo nucleo ispiratore è rintracciabile sul giornale Avvenire di martedì 7 Settembre 2010, a p. 18, con due articoli congiunti, a firma di Andrea Zaghi, intitolati rispettivamente “I pastori in piazza. Inizia il confronto” e “È scontro sul pecorino rumeno“. Ivi si segnala, oltre allo sviluppo della relativa vertenza a livello nazionale, la poco chiara vicenda attinente l’attività produttiva di una ditta casearia con sede in Romania, ente partecipato da un’impresa a sua volta controllata per il 76% del suo capitale sociale dallo Stato Italiano attraverso il Ministero dello Sviluppo Economico. Si apprende, in particolare, come la società d’oltre confine produca con latte rumeno ed ungherese formaggi e latticini ovini distribuendoli sul mercato mondiale, pur non servendosi del marchio formale del “made in Italy“, col nome italiano di alcune tipiche specialità di settore, quali, ad esempio, “pecorino“, “ricotta“, “toscanella“, mozzarella, mascarpone. La società di controllo a partecipazione pubblica italiana, inoltre, risulta essere costituita con il fine di «promuovere il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane ed assistere gli imprenditori nelle loro attività all’estero».
Ora è chiaro che nessuno metta in dubbio o contesti la libertà dell’iniziativa imprenditoriale e la legittima competizione commerciale nella concorrenza, principi cardine sanciti sia a livello costituzionale, sia in ambito europeo. Quello che pone perplessità, nonché un certo senso di disgusto frammisto ad una eco di fondo che suona di “presa in giro“, è la risultante dei fatti e delle conseguenze di tali dinamiche commerciali, dal momento che, leggendo le notizie, sembra che i pastori ed i produttori caseari italiani del settore ovino subiscano una concorrenza “ambigua”, perché velata dal rispetto dei formalismi dei marchi commerciali e da una sorta di incastro di “scatole cinesi” societarie dalle inattese sorprese, e strutturata sul profitto garantito da una domanda a ribasso da parte dei consumatori, non sempre educati alla “originalità” degli alimenti offerti.
Fatti che si rivelano essere assai penalizzanti per chi ne risulta concretamente danneggiato in un momento di crisi economica e sociale come quello attuale: basti solo pensare come le analisi di mercato evidenzino in Sardegna una perdita del 25% del prezzo di vendita del latte per i produttori nell’ultimo biennio, negatività gravanti nell’immediato sulla vita quotidiana degli allevatori e delle loro famiglie. Lati svantaggiosi e tanto più evidenti su un’Isola il cui entroterra continua ad essere a forte impronta agricolo-pastorale, con circa tre milioni di pecore allevate, senza molte altre considerevoli opzioni di sbocco produttivo alternativo, similmente a quanto possa dirsi per altre Regioni del Belpaese, quali l’Abruzzo ed il Molise, senza dimenticare poi i vari comparti territoriali della Toscana e del Lazio e quelle zone che strutturano la loro economia sugli indotti industriali ed artigianali connessi.
È circostanza tanto più grave dal momento che lo Stato, soggetto in teoria espressione e difensore degli interessi di tutti i cittadini, risulta paradossalmente essere collocato, di fatto e non si sa quanto consapevolmente, come antagonista di coloro che protestano in quanto ente azionista nel “castello” di imprese di kafkiana memoria e soggetto al centro di una sorta di un tipico “conflitto di interessi” come descritto qualche anno fa da un provocante ed esplicativo pamphlet, a firma del giurista Guido Rossi, intitolato Il conflitto epidemico.

Roberto Tuveri,
Biella

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