Nuraghe Chervu, pietre della Memoria, dare forma al ricordo

Il Prefetto e il Questore di Biella a Nuraghe ChervuIl tema della Memoria si connette strettamente a quel concetto che il filosofo tedesco Leibniz esprimeva come la scoperta delle: «…origini delle cose presenti ritrovate fra le cose passate…». In natura le pietre costituiscono sicuramente una delle più eclatanti conferme di tale asserto, in quanto testimonianza del “precedente” e dell’evoluzione verso il tempo attuale. Mircea Eliade, nel suo Trattato di storia delle religioni (Ed. Universale Bollati Boringhieri, Torino, 2008, pp. 195 – 214), ricorda come le pietre, specie quelle megalitiche, siano state scelte dall’uomo come vere e proprie manifestazioni del sacro sin dall’antichità a causa dei loro caratteri di durezza, ruvidità e per il loro connotati di permanenza e stabilità nel tempo.
A tale riguardo lo studio dell’archeologia ha dimostrato come i massi quali i menhir (dal bretone men, pietra, e hir, lunga) spesso abbiano avuto una funzione rituale e funeraria connessa al ricordo “visibile” dei defunti. Riguardo agli antichi Sardi, Giovanni Lilliu (Cfr., Sardegna Nuragica, Ed. Il Maestrale, Nuoro, 2006, p. 63) ha affermato che: «…il megalitismo…fissa in grande le memorie, e dà il senso che si sia costruito per l’eternità…». Lo studio della simbologia dei nuraghi, in particolare (Cfr., ex plurimis, M.Puddu, Simbologia del nuraghe, in Sardegna mediterranea. Semestrale di cultura, n. 23, 2008, pp. 36 – 39), ha confermato come le note torri avessero anche la funzione di rappresentare, di per sé, l’immutabilità della forma e della sostanza, richiamando, così, il concetto d’immortalità e di tramite ideale tra la terra ed il cielo, il mondo della spiritualità.

Tale dato ha ritrovato una conferma anche in tempi storici, manifestandosi nelle esplicazioni del patrimonio artistico quali l’architettura e la scultura. A riguardo, in un’esemplare iniziativa editoriale dal titolo “Le pietre della memoria“, il Comune di Torino, negli ultimi vent’anni, ha promosso la diffusione e la valorizzazione della conoscenza del passato e della storia del proprio territorio attraverso lo studio di quel immensa ricchezza costituita da quelli che sono veri e propri “archivi lapidei”, quali chiese, monumenti civili e sepolcrali, per non dimenticare le targhe toponomastiche del capoluogo piemontese: raccogliere le voci delle pietre, legandole insieme e mescolando attualità ed immaginazione, ha avuto in tal caso la funzione di dare modernità e consistenza al tessuto di una città che, per il suo presente, stava cercando le radici, salde e rassicuranti, nel suo passato (Cfr., AA.VV., Di pietra in pietra, Ed. Comune di Torino, 2003, p. 41).

In tal senso, quindi, il monumento si è rivelato essere una possibilità per dare forma al ricordo, come già ricordava in epoca napoleonica Ippolito Pindemonte, quando in un verso de I Sepolcri affermava che: «La pietra gode e si rallegra il bronzo di ritrar qua e là scettri clementi e giusti brandi e inviolati allori».

È evidente come il tutto si connetta in modo naturale alla memoria di chi non ci accompagna più nella vita, i defunti, onorati e commemorati con atti quali il silenzio, la deposizione di corone di fiori a sepolcri e steli celebrative e votive e, nel caso dei cimiteri ebraici, con l’uso di pietre posate sulle tombe.

Su L’Unione Sarda di Venerdì 15 gennaio 2010, p. 36, Mons. Ignazio Sanna, vescovo di Oristano, ha ricordato come città della memoria proprio i cimiteri. Ma ciò pare palesarsi vero anche nello stretto ambito del ricordo laico-civile di chi non c’è più, specie in relazione a chi è venuto a mancare alla comunità dei viventi in circostanze tragiche, come negli eventi bellici, o tributando servizio e sacrificio per il bene di altri.

I Sardi sono stati storicamente coinvolti nella realtà di “contributo di sangue e sudore” nella costruzione dell’Italia della quale il 17 Marzo 2011 verrà celebrato il 150° Anniversario dell’Unità. Diverse sono le testimonianze di tali importanti apporti. A Torino, prima capitale storica del Bel Paese, in piazza Castello, davanti a Palazzo Madama, prima sede del Senato del Regno d’Italia, è innalzato, sin dal 1859, la scultura commemorativa all’Alfiere Sardo, opera dell’artista Vincenzo Vela, monumento offerto al Comune di Torino dai fuoriusciti milanesi a ricordo degli eventi gloriosi e sfortunati del 1848, quale omaggio al sacrificio ed alle imprese dell’Esercito Sardo, come indicato nell’epigrafe posta ai piedi della statua. Sparsi sulla Penisola sono innumerevoli i monumenti e le targhe dedicati ai Caduti della Grande Guerra: tra i trapassati spicca il numero dei figli dell’Isola, ossia 13.602 perdite, un contributo di vittime ponderoso in proporzione ed in rapporto ad altre regioni d’Italia, tale da testimoniare quella che è stata definita come la scomparsa dal tessuto sociale di una vera e propria generazione di giovani del tempo. Di questi circa 4 mila (dei quali cinque provenienti dal Biellese) appartenevano alla “Sassari“.

La stessa Brigata, attualmente in missione in Afghanistan, è stata ricordata domenica 24 gennaio 2010, a Padova, dall’onorevole Lucia Baire, Assessore alla Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport della Regione Sardegna, nel corso del Convegno su “Mannigos de Memoria in sa Limbas de su disterru“. Occasione senz’altro opportuna e di manifesta sensibilità per ricordare i “Dimonios” non solo per la prossimità delle celebrazioni del 28 Gennaio, Festa della Bandiera della Brigata, ma anche alla luce del carattere strutturale storicamente improntato all’appartenenza alla “nazione” Sarda, nata alla fine del mese di Gennaio del 1915 e formata da coloro che, fino a pochi anni prima, erano stati considerati indiscriminatamente dei banditi nati, secondo le teorie positiviste e lombrosiane allora diffuse. La “Sassari“, brigata “etnica” di lingua sarda (a riguardo, esemplificativamente, si veda Antonio Gramsci, Il Sardo lingua nazionale?, in Id., a cura di G.Melis, Scritti sulla Sardegna, Ed.Ilisso, Nuoro, 2008, p. 78, l’articolo giornalistico del 22 aprile 1919 nel quale si fa cenno al discorso tenuto in Limba dal celeberrimo “Babbu Mannu” Carlo Sanna, Generale di Corpo d’Armata e comandante della 33ª Divisione sul fronte di guerra), posta all’interno dell’Esercito Italiano, diventò, grazie alle sue caratteristiche antropologiche e culturali costitutive, una sorta di vera e propria salvatrice della Patria, unita nell’azione sotto il motto “Sa vida pro sa Patria“, ieri: “Deus et su Re“.

Emilio Lussu (cui è dedicato il nucleo di Biella della relativa Associazione d’Arma), Ufficiale di Complemento sul fronte, segnalò a più riprese, durante la sua vita, come la guerra di trincea, attraverso la partecipazione delle masse agro-pastorali sarde, abbia comportato per la storia dell’intero Paese un passaggio storico fondamentale nel processo di Unità Nazionale, soprattutto per lo spirito esemplare di “comunitarietà” trasmesso ai connazionali ed mostrato ai nemici. Lo stesso Antonio Gramsci (Cfr., Id., cit., pp. 70 e ss.), nel 1919, in occasione dell’invio a Torino dei “Sassarini” col fine di garantire l’ordine pubblico contro gli scioperi, ricorda come venisse infusa, da una loro osservazione, un innato e particolare spirito di collaborazione fraterna, quasi una sorta di aspirazione religiosa, espressa dalla parola in Limbasa comune” o “komuna“. Alla luce di quanto detto, la situazione bellica, con la sua tragedia, si è rivelata essere un’opportunità, quindi, un’occasione di compartecipazione e di sacrificio, di condivisione e di scambio delle diversità e delle specificità dei soggetti coinvolti, lungo il percorso di formazione culturale della stessa Italia.

Lungo tale complesso filone, come enunciato dalla relativa Delibera della Giunta del Comune di Biella del Marzo 2008, si è mossa l’iniziativa della costruzione dell’area monumentale di “Nuraghe Chervu” nel parco fluviale Urbano del Torrente Cervo, quale onore ai Caduti della Grande Guerra, Sardi, Biellesi e, più in generale, Italiani, per celebrare la ricorrenza del 90° anno dalla fine del Primo Conflitto Mondiale ed in vista del 2011, 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.

Il nuraghe per se stesso, sebbene percepito come fenomeno avulso ed eccentrico, a primo acchito, alla cultura del territorio, è stato la “sostanza” di un’operazione volta ad unire attraverso una complessità di diversi canali simbolici (Cfr., B. Saiu Pinna, a cura di, Le pietre e il sacro. Disegna un nuraghe, Ed. Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe” – Collana Ammentos n. 12, Biella, 2008, pp. 12 – 28), in primis attraverso il legame tra le pietre ed il sacro, secondo i sensi e le valenze cui in principio del presente scritto si è fatto cenno; poi con l’inedito censimento dei 523 Caduti Biellesi del 1915 – 1918 ed il recupero alla memoria pubblica, da una damnatio memoriae fattuale, dell’esistenza di alcune delle relative targhe commemorative. A ciò si è innestato il legame geologico-geografico tra Piemonte e Sardegna nell’uso delle forme (il nuraghe) e dei materiali, attraverso l’utilizzo di massi di melafiro provenienti dalle locali cave di Curino, nonché con la previsione di un ulteriore futuro apporto di pietre dai Comuni di tutta Italia in vista del 2011. Ma a queste azioni si è aggiunto il leitmotiv del rapporto di continuità nella Memoria tra morti e vivi, attuato dapprima per mezzo della partecipazione delle nuove generazioni, con il concorso scolastico “Disegna un nuraghe“, seguita dalla piantumazione dell’area monumentale con specie endemiche sarde in occasione della nascita dei figli della comunità e dal coinvolgimento rituale dei cosiddetti “ragazzi delle spade” e, successivamente, attraverso l’organizzazione di manifestazioni collegate all’area monumentale. In tutto questo non può essere trascurato un cenno all’orientamento astronomico della costruzione “neo-megalitica” rispetto agli assi dei solstizi e degli equinozi nell’illuminazione della soglia dello stesso monumento ed il contemporaneo orientamento del nuraghe verso il Santuario eusebiano di N.S. di Oropa, tessendo, così, una sorta di immaginario filo conduttore e predisponendo in tal modo, al contempo, un calendario astrale, fatto che già di per sé significa “fare memoria” e far riemergere un quid che perpetua matrici radicate nel passato.

L’iniziativa si è sviluppata, quindi, nell’ottica della continuità dei rapporti fraterni che uniscono da lungo tempo il Piemonte, la Sardegna e la stessa Penisola; relazioni che, a loro volta, hanno trovato nel tempo sussistenza anche attraverso il mondo del lavoro tra Biellese e Sardegna, con le lavorazioni tessili e della pietra, in un contesto di emigrazione reciproca, come esemplarmente evidenziato nei contributi scritti da E. Tagliani, consultabili in B. Saiu Pinna (a cura di), Impresari biellesi in Sardegna. La costruzione dello stabilimento “Sarda Ammonia” al Coghinas, Ed. Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe” – Collana Ammentos, n. 9, Biella, 2004, pp. 18 e ss.

Un monumento per la Memoria di tutti, quindi, che vede coinvolta la “Brigata Sassari“, per la sua storia e per le sue gloriose e fondamentali imprese, quale simbolo emblematico dell’iter storico, tuttora in atto, dell’Italia Unita, in quanto “fiore all’occhiello” delle Forze Armate Nazionali, come anche testimoniano le missioni ed i martiri dell’ultimo decennio. Il tutto articolato nell’ottica di una propensione espressa dalla stessa Costituzione del 1948, per la quale la Repubblica Italiana ripudia la guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali e non, il concetto di “Pace“, di recente ribadito a più riprese nei pubblici dibattiti. A tale riguardo, Ermanno Olmi, in un editoriale dal titolo Bene e male, la lotta infinita, pubblicato sulla rivista Luoghi dell’Infinito (n. 130, Anno XIII, Giugno 2009, p. 5), ha ricordato che tutti coloro che hanno vissuto una guerra sanno che alla fine non c’è un vero vincitore ma c’è solo la conta dei morti: un orizzonte segnato dalla distruzione; raccontando di un amico reduce della Grande Guerra, il regista cita una riflessione dinanzi al cadavere di un giovane austriaco munito di piastrina con inciso il nome Franz: «…ma cosa sei venuto a fare da queste parti? Noi siamo qui ad ucciderci, ma quando la guerra sarà finita tutti torneranno alle proprie case e nulla sarà cambiato … nulla sarà cambiato tranne la tua morte e quella di tanti giovani come te…».

Gianni Cilloco


Nelle immagini: il Prefetto e il Questore di Biella a Nuraghe Chervu; il Vicepresidente della Provincia e il Sindaco di Biella a San Sebastiano.

Il Vicepresidente della Provincia e il Sindaco di Biella a San Sebastiano

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