Sapere e sapori, is papassinas de su Sulcis, gli ingredienti del ricordo

Sapori di Sardegna, percorso di conoscenza attraverso la varietà del gusto – Al termine “papassinos” sono associati diversi tipi di dolci con al centro sa papassa, l’uva passa – Papassinas de su Sulcis, ricetta e degustazione

Luciana Ecca Pinna

Sabato 16 ottobre, alle ore 21, al Circolo Culturale Sardo Su Nuraghe di Biella, è in calendario un nuovo dolce appuntamento con i “Sapori di Sardegna”. Luciana Ecca Pinna presenterà “is papassinas de su Sulcis”, una variante territoriale, conosciuta anche come “papassinos”. Si tratta di dolci diffusissimi, a base di noci, nocciole o mandorle, edulcorati con uvetta, vin cotto o sapa, miele, zucchero o frutta candita.
Fino a pochi anni fa, papassinos e papassinas servivano per decorare il “tavolo dei morti”, preparato nella notte tra il 1° e il 2 novembre in occasione della ricorrenza dei defunti.
La tavola ritualmente apparecchiata veniva associata all’annuale ritorno dei morti, la ciclica visita dei trapassati: in quella notte si credeva che i morti tornassero a far visita ai vivi, ai parenti ed agli amici.
Oltre agli ingredienti, altra costante di is papassinas è l’aspetto a forma di rombo, figura geometrica con tutti i lati uguali, paralleli a due a due, con coppie di angoli acuti e ottusi.
Nel mondo dei simboli, la figura quadrangolare rimanda alla terra, in antitesi col cerchio della volta celeste; indica l’esistenza terrena, immutabilità e integrazione. Il rombo è il principio creativo femminile, rimanda alla Dea Madre, alla terra che dà vita ed al sepolcro che accoglie i corpi al cessare della vita. A volte, il rombo, scomposto in triangoli nel segno grafico dello zig-zag, decora le domus de Janas, tombe scavate nelle rocce in Sardegna e in quelle neolitiche di altri territori. Nell’ingresso-grembo dei sepolcri dipinti di ocra rossa si entrava, deposti in posizione fetale, in attesa della successiva uscita e rinascita.
Un simbolo con due facce, dunque, la cui forma tipica caratterizza anche sos mustazzolos, i mostaccioli, dolci nuziali che devono il nome al mosto e alle spezie con cui vengono preparati. Con lo stesso nome, ma ingredienti diversi, presenti in molte varianti, si ritrovano anche in area extraisolana, inseriti in altro contesto del calendario della vita, attestati, in un passato lontano, sugli altari degli dèi quali offerta votiva; nel tempo presente pani votivi vengono adagiati sulla balaustra delle chiese, portati in processione durante momenti paraliturgici di alcune feste patronali.
Sulle Tavole eugubine – custodite all’interno del Museo Civico del Palazzo dei Consoli, a Gubbio – risalenti al II sec. a.C., è descritta la “ficla”, una torta rituale romboidale dal cui etimo deriverebbe il termine volgare corrispondente alla natura femminile. Durante le nozze, la rottura, il taglio della torta a forma di losanga significherebbe la perdita della verginità e la procreazione. Nel tempo presente, abbandonati forma e significati, permangono gestualità e riti assai radicati, quali l’immancabile presenza della torta e l’uso degli sposi di tagliarla congiuntamente alla fine del banchetto nuziale.
Sebbene permanga ne is papassinas l’antica forma quadrangolare, pochi conoscono i segni originali che le caratterizzano. Oramai pare che solo ai più anziani sia affidato il ricordo del “tavolo dei morti” e dei cibi ad esso connessi; pochi imbandiscono la tavola in memoria dei cari defunti.
Nella Comunità sarda di Biella parecchi preparano papassinos durante l’anno, fedeli custodi di ricette tramandate oralmente, apprese dae sos mannos durante la produzione domestica, alcuni son soliti impastare gli ingredienti del ricordo nel tempo giusto dei morti.
Oggi, tabù della morte ed esigenze commerciali rimuovono il ricordo. Analoga sorte riguarda i dolci della tradizione di qualunque regione, sarda e continentale; tra le “vittime”, is papassinas de su Sulcis, estrapolate dal loro contesto originario – un po’ come si vorrebbe fare per i panettoni di Natale da produrre in qualunque stagione dell’anno – per allietare soltanto la tavola dei vivi e non più il ricordo dei morti attraverso la vita e il palato dei bambini che la mattina del 2 novembre eran soliti questuare augurando bene ai vivi e pace ai defunti avendo in dono la gustosa papassina: si nos nde cherides dare, pro fagher bene a sos mortos, “se volete donare per far del bene ai defunti”.

Battista Saiu

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