Tre periodi della storia sarda: Barbària, Giudicati, Italia Unita

Nel diritto pubblico, è costante l’affermazione per la quale lo Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna e lo stesso appellativo Regno d’Italia, assunto con legge 17 marzo 1861 n. 4671, è solo il nuovo nome: le leggi ed il sistema amministrativo passarono, infatti, dal vecchio al nuovo Stato unitario

stemma del Regno di Sardegna Oggi è il 17 Marzo 2010: 365 giorni ci separano da Giovedì 17 Marzo 2011, giornata fatidica nella quale verrà celebrato il 150° dell’Unità d’Italia, proclamata la con Legge n. 4671 del 17 marzo 1861. Ad un anno dall’evento interessanti ed assai utili si palesano alcune riflessioni circa il percorso che ha condotto all’unione politica della penisola, anche alla luce dell’atmosfera culturale riscontrabile nella nostra attuale quotidianità, in stretta connessioni a quanto concerne la Sardegna, nostra terra di origine.

In particolare, all’evidenza dell’attenzione si è riproposta, grazie ad un articolo del prof. F.C.Casula, intitolato Vogliamo rimettere in piedi la nostra storia rovesciata?, apparso sul sito www.gianfrancopintore.net/index.php e rilanciato dal sito di www.emigratisardi.com Domenica 21 Febbraio scorso, la teoria storiografica denominata Dottrina della Statualità. Una tesi originale e rivoluzionaria, trattata di recente nel libro dello stesso autore, La terza via della storia. Il caso Italia, (Ets, Pisa, 1997).

Le impostazioni tradizionali hanno sempre posto l’attenzione sul cosiddetto “metodo regionale“, causa di una storiografia che, ritenendo la Sardegna una mera zona della penisola, ne ha dato una valenza politica strettamente interna, secondaria, assolutamente ininfluente nel quadro storico generale italiano ed europeo, sebbene l’Isola sia oggi la regione italiana con la maggiore produzione storiografica propria. Tale indirizzo di studio ha trovato il suo capostipite in Giovanni Francesco Fara, vescovo di Bosa, considerato, con il suo De rebus sardòis historia, pubblicato nel 1835 da Luigi Cibrario a Torino, il più antico storico isolano1: egli delineò una versione semplicistica della storia isolana, nella quale, ponendo l’attenzione sulle dominazioni esterne, è del tutto assente la valorizzazione dell’elemento indigeno organizzato socialmente, a partire da tutte quelle realtà riconoscibili dall’antichità alla fase storica dei giudicati. In sostanza egli descrisse l’Isola nella storia presentandola come una colonia di Pisa e Genova prima e dei Catalano-Aragonesi poi, un vera e propria preda appetibile ad invasori esterni2.

Tale tesi si rivela essere oggetto di critica in quanto interpretazione errata e non realistica del passato, mossa da fini volti a privilegiare una storia incentrata sulla penisola. In particolare già i Giudicati medioevali, retti dai giudici, sovrani detentori del potere supremo, erano un vero e proprio Stato, di tipo monarchico, un regime statuale per il quale lo Stato-Regno viveva e rimaneva in vita a prescindere dalla presenza di un re, secondo quanto prospettato da Niccolò Machiavelli nell’opera Il Principe3. Il Fara fu senz’altro influenzato anche dagli interessati storici iberici dei suoi tempi (in primis Geronimo Zurita, cronista ufficiale della Corona d’Aragona), i quali presentavano la Sardegna come una terra coloniale della Spagna e, facendo menzione della concessione del 4 aprile 1297 di papa Bonifacio VIII, avevano omesso di segnalare come il pontefice romano avesse parlato di: «…regnum Sardiniae et Corsicae…», negando, così, l’attributo di personalità del relativo Stato. L’atto papale, infatti, diede alla Corona d’Aragona una licentia invadendi in danno della Repubblica di Pisa, degli Stati signorili dei Doria, dei Malaspina e dei Donoratico e, soprattutto, del Regno di Arborèa e l’Isola venne conquistata dai Catalano-Aragonesi con le armi dopo un lungo ed alterno periodo di guerre4.

Tali risultati evidenziano, secondo il prof. Casula, come, nel raccontare la storia della Sardegna, nessuno storico abbia mai fatto uso degli strumenti del diritto, ed in particolare di quello costituzionale, le cui categorie egli richiama in modo strutturale e preciso nell’esposizione della propria teoria. Un’impostazione di studio a maggior ragione “controcorrente”, in un tempo contemporaneo ove il diritto viene vissuto come qualcosa di avulso e di “estraneo”, quasi odioso al comune e diffuso sentire della società italiana: a riguardo sembra che abbia trovato conferma il pessimismo che mosse il discorso di Salvatore Satta, oltre cinque decenni fa quando, in apertura dell’anno accademico 1954-1955 dell’Università di Genova, il fine giurista fece amara denuncia circa: «… una vocazione del nostro tempo a vivere senza il diritto…»5.

Fino ad oggi la storiografia, come in precedenza accennato, ha focalizzato l’attenzione sulla penisola, identificandola con lo Stato, entità giuridica composta da uno o più popoli stanziati in un territorio e legati fra loro da un vincolo giuridico originario. Lo stesso Stato è sovrano quando non riconosce alcuna altra entità al di sopra di sé, perfetto se fornito di facoltà di stipulare trattati internazionali, superindividuale qualora appartenga solo al popolo che lo conforma; inoltre, per identificare uno Stato in mezzo agli altri, si ricorre all’osservazione dei suoi attributi di personalità, fra i quali i più notevoli sono il titolo, il nome, lo stemma, la bandiera, le divise militari, ossia elementi variabili nel corso della storia senza possibilità di annullamento o svalutazione dello stesso Stato. Occorre poi in esso la presenza dei tre poteri statali superiori, ovvero il legislativo, l’esecutivo e la potestà giudiziaria. E rileva ancora l’analisi delle unioni statuali, ossia:

  • le unioni reali, ove un’identica persona fisica viene posta quale Capo di Stato in ciascuno dei soggetti membri dell’unione, come nel caso della Corona d’Aragona, con lo stesso monarca governante in ciascuno Stato in unione e, all’interno, nessuno Stato è preminente;
  • le confederazioni, unione di diritto internazionale che ha come fondamento un trattato federale fra un gruppo di Stati confinanti i quali, però, non rinunciano all’esercizio dei propri diritti sovrani;
  • gli Stati federali, ove si dà vita ad uno Stato composto, da più elementi costitutivi paritari. Reciprocamente senza che gli stessi abbiano una propria capacità giuridica internazionale. Lo Stato federale si differenzia poi dalla confederazione per questi due caratteri essenziali: perché l’ordinamento giuridico che regola lo Stato e la reciproca posizione degli Stati membri è un ordinamento originario, con un proprio territorio, formato dall’insieme dei territori degli Stati membri ed una popolazione formata dal complesso dei popoli dei singoli Stati membri. Quest’unione interessò il rapporto fra il Regno di Sardegna e il Principato di Piemonte, il Ducato di Savoia e la Contea di Nizza dal 1720 al 1847, precedendo e preparando la fase della fusione che durò dal 3 dicembre 1847 fino al 17 marzo 1861.

Il prof. Casula, nella sua esposizione, ha messo ancora in evidenza il concetto culturale sotteso alla parola Nazione,indicante la presenza di uno o più popoli (o etnie) con genti aventi in comune storia, lingua, folklore, tradizioni e religione. Su tali basi esistono Stati con all’interno più Nazioni e Nazioni che occupano Stati diversi. La Nazione, poi, è a sua volta un prodotto storico, capace di sopravvivere agli stessi Stati. Solo con la pace di Westfalia del 1648 gli Stati tesero ad identificarsi con la Nazione dando luogo agli Stati nazionali, diventati, da ultimo, i cosiddetti Stati-Nazione6.

Sulla considerazione di predette basi, appunto, si fonda la “Dottrina della Statualità” riferita al cosiddetto “caso Sardegna“, interpretazione del passato diacronica e, al contempo, sincronica. La nuova metodologia, applicata all’Isola, vede la storia sarda formata da tre periodi, con significati diversi: l’età antica, il periodo giudicale ed il periodo statuale moderno. Nel primo periodo rileva quella che in epoca romana fu chiamata Barbària (Barbagia), zona di civitates che fanno pensare a villaggi ancora di tipo nuragico strutturati in Stato, ciascuno con proprio territorio, propria popolazione e proprie regole sociali. Nella seconda fase si attestano i “giudicati” sardi, veri e propri Stati dotati di qualifica di regni con le caratteristiche sopra esposte, superindividuali perché, al contrario della maggior parte degli Stati coevi, non erano di proprietà del monarca che ne disponeva come di un bene privato, ma appartenevano al popolo il quale, col giuramento di bannus-consensus, lo affidava al “giudice” tramite la Corona de Logu, vero e proprio Parlamento statale. Essi furono quattro tra alterne vicende, ossia Càlari, Torres, Gallura e Arborèa, e ad essi nel tempo si affiancarono la Repubblica di Sassari e le “signorie” dei Gherardesca, dei Malaspina e dei Doria7.

La terza fase della storia sarda statuale riconduce al processo dell’Italia Unita. Nel diritto pubblico, è costante l’affermazione per la quale lo Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna e lo stesso appellativo “Regno d’Italia“, assunto con legge 17 marzo 1861 n. 4671, è solo il nuovo nome: le leggi ed il sistema amministrativo passarono, infatti, dal “vecchio” al “nuovo” Stato unitario8.

Il Regno di Sardegna risulta essere sorto concretamente, e non più solo sulla carta, il 19 giugno 1324 a Cagliari ad opera dei Catalano-Aragonesi con titolo e nome di Regno di “Sardegna e Corsica“, semplificato nel 1475 in Regno di “Sardegna“; fino al 1720, quando passò ai Savoia, fu uno Stato sovrano ma imperfetto, cioè senza la facoltà di stipulare individualmente trattati internazionali in quanto parte dell’unione reale della Corona d’Aragona, confluita, nel 1516, nella Corona di Spagna. Con l’arrivo della Casata Sabauda lo Stato Sardo tornò in un’aggregazione di tipo federativo, chiamata collettivamente Regno di Sardegna, formato dal Principato di Piemonte, il Ducato di Savoia e la Contea di Nizza, confluita a sua volta nella “fusione perfetta” del 3 dicembre 1847 quando lo Stato da composto divenne unitario o semplice, con un solo popolo, un unico territorio, un solo potere pubblico legislativo, esecutivo e giudiziario.

Col cambio del nome in Regno d’Italia del 17 marzo 1861 iniziò il problema storico sulla valenza storica dell’Isola circa il processo di formazione dello Stato Italiano, con ripercussioni evidenti sulla stessa cultura nazionale9, come constatabile anche con riferimento alle forme più o meno evidenti di ostruzionismo indirizzate verso il riconoscimento della valenza e dei decisi contributi offerti nel corso del Primo Conflitto Mondiale, sostanziale “IV Guerra d’Indipendenza” e compimento del processo risorgimentale di Unità Nazionale, da parte del sacrificio di sangue di migliaia di Sardi, gran parte dei quali inquadrati nelle fila dell’eroica Brigata “Sassari”10.

Gianni Cilloco

Nell’immagine: Biella, Santuario Eusebiano Alpino di Santa Maria di Oropa, stemma del Regno di Sardegna con i “Quattro Mori” nell’inquartato, sovrasta lo “Scalone reale dello Juvarra”.

  1. a riguardo si rimanda anche al volume: Aa.Vv., I.F.Farae, Bibliotheca, Bollettino bibliografico e rassegna archivistica e di studi storici della Sardegna, Quartu S.E., 1989 []
  2. Cfr. F.C. Casula, cit. []
  3. Cfr. Id., Il Principe e altre opere politiche, Garzanti, Milano, 1993 []
  4. Cfr. F.C. Casula, cit. []
  5. Cfr. S.Satta., Il diritto, questo sconosciuto, in Il mistero del processo, Adelphi, Milano, 1994, p. 127 []
  6. Cfr. F.C. Casula, cit. []
  7. Cfr. F.C. Casula, cit. []
  8. da ultimo, ex plurimis: L.Villari, Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento, Laterza, Roma-Bari, 2009, pp. 5 e 309 []
  9. Cfr. F.C. Casula, cit. []
  10. Cfr., A.Pinna, I “Diavoli Rossi”. La Brigata Sassari nella Grande Guerra, Comando Brigata “Sassari”, Sassari, p. 16 []

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