H come Hospiton, una parola sarda al mese: Ospitòne

l'incipit H, in Giampaolo Mele, Die ac NocteOSPITÒNE antichissimo nome personale della Sardegna, appartenuto al re, o capo supremo, dei Barbaricini. È stato reso famoso da una lettera che papa Gregorio Magno gl’inviò nel maggio del 594, esortandolo a consentire al vescovo Felice, coadiuvato dal missionario Cyriaco, di convertire al cristianesimo il popolo dei montanari, che ancora adoravano ligna et lapides ossia totems e menhirs.
Ospitone è cattiva grafia. Gli studiosi sardi traducono così dall’intestazione della lettera (l’unico punto dove appare il nome) la quale recita «Gregorius Hospiton duci Barbaricinorum». Essi non tengono conto che Hospiton è un dativo, scritto così perché il Papa non considerava tale nome di origine latina ma di origine straniera. Fosse stato di origine e forma latina, il nominativo sarebbe stato Hospiton ma il dativo avrebbe dato Hospitoni, e Gregorio (famoso per la sua cultura) non avrebbe sbagliato il nome di un personaggio al quale rivolgeva una petizione di somma importanza. Quindi Hospiton era nome straniero, né più né meno come Joseph, intraducibile per i Latini. Sembra ovvio che a Gregorio non sia neppur lontanamente balenato di accostare il personale Hospiton al latino hospes, hospitis; e nemmeno noi riteniamo percorribile l’accostamento, poiché l’etimologia di hospes porterebbe all’akk. waššābu ‘risiedere, trattenersi in una casa’. Peraltro dobbiamo fare i conti con l’iniziale H-, che spesso sottende una velare.
Hospiton ha base etimologica nell’akk. kussû ‘trono’ + pittu ‘sfera di responsabilità; ambito di…’ (Kus-pittu); quindi il composto Hospiton significa ‘detentore del trono’.
Va osservato al riguardo che in Sardegna quasi tutti i nomi celebri, a cominciare da quelli dei re-giudici medievali, sono degli appellativi, formazioni linguistiche sottolineanti il rango e le funzioni della regalità. Quindi deduciamo ch’essi in origine non furono nomi propri ma, sulla base della tradizione semitico-nilotica, erano formati ad hoc per onorare il personaggio detentore del potere o destinato al potere. In pratica, così come è sempre stato per i papi ed anche per molti regnanti (compresi quelli delle steppe, vedi Gengis Kahn), il detentore del potere ha sempre voluto ricreare o riplasmare il proprio nome (o forgiarsi un appellativo collaterale), attribuendogli un’aura sacrale che magnificasse i programmi di governo (es. Titus, deliciae generis humani).
Nel fare ciò Hospiton non si discostava da una tradizione radicata dappertutto (vedi gli appellativi dei faraoni), ed in questo anticipò i nomi dei futuri giudici-re della Sardegna (i quali invero sono meri appellativi programmatici: es. Mariano d’Arborea promulgò il Codice Agrario, ed assunse l’appellativo accadico Marī-Anu ‘vanga di Anu’, ossia ‘Vanga del Dio Sommo’). Non è azzardato dire che fu proprio la figura di Hospiton a dare impulso al processo di formazione dei quattro regni sardi.

Salvatore Dedola

Nell’immagine: l’incipit H, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009

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