Antiche radici tra «axènte», «carità», «magio» e «pan santo»

processione
Bollengo, uscita della processione di Sant'Eusebio con axènte, Sindaco, reliquie di Sant'Eusebio portate dai Coscritti, donne sarde in costume.

Secondo il Gran Dizionario Piemontese-Italiano di Vittorio di Sant’Albino, edito a Torino nel 1859, viene detta Carità, o pan santo o benedetto “una certa focaccia condita con pepe e zafferano e cotta nel forno”. Ancora nel medesimo dizionario, alla voce “Fe balè la carità”. Si dice: “Antica costumanza, che sussiste tuttavia in varj paesi del Piemonte, ove nel giorno della festa del santo protettore … vanno alla casa del loro Abà per prendere il ‘Magio’, che sono due specie di cuffie fatte a piramide dell’altezza di quattro palmi, tutte ornate all’interno di lunghi nastri di varj colori, e ponendosele due di esse sul capo, se n’escono cogli Abà muniti di alabarde, … e fra suoni saltellando se ne vanno alla Chiesa”.
Una approfondita ricerca sul termine atsènt – riferito al nome dato ai simulacri arborei portati dalle axentère di Bollengo e di altri paesi del Canavese – ci ha confermato il suo legame con quello di ‘carità’ con cui più usualmente in Canavese vengono denominati oggetti simili a quelli di Borgofranco, Perosa, Piamprato, Barbania, Montanaro ed altri ancora.
Mentre, infatti, più fonti hanno confermato che per ‘carità’ si deve intendere una focaccia o forma di pane ed in particolare il pane benedetto, distribuito alla fine della funzione religiosa delle feste patronali.
Il pane con spezie corrisponderebbe ad una sorta di pane nuziale i mustaceolum dei Latini preparati con vin cotto, sapa o mosto. Dal termine mosto deriverebbe “mostacciolo”, la focaccia dolce ancor oggi preparata senza lievito e diffusa – come mostacciolo – in diverse parti d’Italia. Tutti i Sardi conoscono bene i “mustazzolos di Oristano”, preparati con cannella e buccia di limone.
Nella zona di Cavaglià, il termine dialettale aksént, significa lievito ed in modo simile nella zona di Borgosesia si dice krasént, con un chiaro riferimento al tema del verbo ‘crescere’ che richiama il crescere del pane che lievita. Anche se il termine aksént che nella zona di Cavaglià denominava il lievito non è identico a quello che attualmente hanno paesi come Bollengo si pronuncia atsènt, l’accostamento ci sempbra possibile anche perché una delle testimoni interpellate, ha spiegato che ha semprre sentito denominare axanteri, quindi con una radice molto simile a quella di aksént o indifferentemente atsantèri, le priore della patronale.
Probabilmente axsènt, da cui axantèri, era il termine più antico proveniente da un modo ancora più antico, aksènt, di denominare il lievito. Di certo si tratta di un termine che risale alle origini precristiane di questo tipo di strutture e delle feste in cui erano inserite, tese a celebrare la vita che rinasce e rinascendo, cresce, ricresce e riflette il legame dell’uomo con la terra e i suoi frutti.
Può, inoltre, essersi trattato di un mutuarsi di termini da una zona all’altra, entrato poi nell’uso comune non per denominare il lievito, come nella zona di origine dl termine, ma l’oggetto particolare alla cui base doveva esserci il pane della festa.

Norma Molinatti

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