Tra papassinos e castagne bollite, la notte tra 1 e 2 novembre unisce Sardegna e Piemonte nel rito millenario dell’ospitalità oltre la morte
Nella società contemporanea, il periodo dedicato alla commemorazione dei defunti mantiene un radicamento profondo sia nella dimensione pubblica che in quella privata. Nelle settimane che precedono il 2 novembre, data fissata per la ricorrenza, si assiste a un’intensificazione delle visite ai luoghi di sepoltura: le famiglie si dedicano alla pulizia delle tombe e dei loculi, sistemando la terra dei tumuli. Ogni sepolcro viene adornato con composizioni floreali, spesso recise, dono prezioso di vegetazione coltivata appositamente, oppure con piante direttamente collocate sul terreno. I camposanti si trasformano così in giardini che rifioriscono in una sorta di primavera anticipata, invertendo il ciclo naturale delle stagioni.
Nel raccoglimento domestico, la commemorazione si manifesta attraverso gesti carichi di simbolismo: l’accensione di fiammelle votive sulle tombe e davanti alle fotografie dei cari scomparsi, disposte anche sui davanzali per illuminare e guidare le anime nel loro viaggio simbolico tra il mondo dei viventi e la dimora eterna.
A Biella e in altre località alpine, nella notte tra 1 e 2 novembre, capita che vengano lasciate sul tavolo scodelle colme di castagne bollite con sale e foglie di alloro, accompagnate da vino rosso versato nei bicchieri. Anche nelle abitazioni dei Sardi residenti nel Biellese viene allestita la tradizionale “banca de sos mortos”, la tavola imbandita per i defunti, caratterizzata dalla presenza dei papassinos, dolci dalla forma geometrica romboidale edulcorati con uvetta, aromatizzati con semi di finocchio selvatico o anice stellato e, secondo la disponibilità degli ingredienti, arricchiti con noci, nocciole e mandorle.
La figura del rombo, costituita da due triangoli uniti per un lato, rimanderebbe a simboli ancestrali di vita e rigenerazione. Questi dolci vengono decorati con una glassa bianca cosparsa di granelli colorati di zucchero, creando un parallelismo visivo con le ornamentazioni floreali che adornano abbondantemente le tombe in questo periodo.
Secondo antiche credenze, durante il periodo in cui le giornate continuano ad accorciarsi, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti diventa più sottile. Proprio per questo, tra il primo e il 2 novembre, le famiglie si riuniscono per rendere omaggio ai defunti, preparando pietanze elaborate. La tavola rimane apparecchiata per l’intera notte, con un menù che può comprendere favata, carne, pesce, formaggio, pane, frutta secca, castagne, mandarini e melagrane, oltre ai dolci tipici come i pabassinos o su pane ‘e sapa, il tutto accompagnato da una bottiglia di vino per rifocillare le anime in visita.
In diverse zone dell’Isola, i bambini assumono un ruolo centrale nella tradizione denominata “Su prugadoriu”, “Su mortu mortu” o “Sas animeddas”. La sera del primo novembre, dopo il tramonto, i più piccoli si organizzano in gruppi e percorrono le vie del paese bussando alle porte per chiedere dolcetti, caramelle e frutta di stagione come noci, melagrane e fichi secchi, recitando all’unisono cantilene come “Animas de prugadoriu, Ave Maria”; “pro faghere bene a sos mortos”, “per far del bene ai morti”, ossia in loro suffragio.
In questi giorni, fedeli alla tradizione millenaria, sia nell’Isola che nella comunità sarda trapiantata all’ombra del Mucrone, che fa capo al Circolo “Su Nuraghe”, fervono i preparativi per celebrare degnamente la ricorrenza nell’intimità domestica, in memoria dei cari scomparsi. Nonostante negli ultimi anni la festa di Halloween, tradizione importata d’Oltreoceano, stia mettendo radici anche in questi territori con mascheramenti e festeggiamenti trasgressivi, le antiche usanze resistono, mantenendo vivo un legame con il passato che attraversa generazioni e confini geografici.
Salvatorica Oppes
Nell’immagine: Papassinos preparati da Sardi di Biella
