Un presepe dedicato a tutte le donne che faticosamente, ogni giorno “fanno il pane”; a tutti coloro che vivono la fatica della disoccupazione e precarietà; alla Sardegna, “terra del pane”; a Mamoiada, che come Betlem, piano piano, sta diventando “luogo del pane”

«E lo mise a dormire nella mangiatoia di una stalla». Nel giro di poche righe l’evangelista Luca ripete, tre volte, la parola “mangiatoia”. Se è vero che nella mangiatoia si mette il pasto per gli animali, non è difficile leggere in quella collocazione l’intendimento di presentare Gesù come cibo del mondo. Anzi, come pane del mondo e, accanto alla mangiatoia, come dinanzi a un tabernacolo, la fornaia di quel pane.
Maria aveva capito bene il suo ruolo fin da quando si era vista condotta dalla Provvidenza a partorire lontano dal suo paese, lì a Betlem: che vuol dire, appunto, “Casa del Pane”. Maria, portatrice di pane, dunque. E non solo di quello spirituale. Deformeremmo la sua figura se la sottraessimo alla preoccupazione umana di chi si affatica per non lasciare vuota la mensa di casa.
Sì, ella ha tribolato per il pane materiale e, qualche volta, quando non riusciva a procurarselo, avrà pianto in segreto. Gesù deve aver letto negli occhi splendidi di sua madre il tormento del pane quando manca, e l’estasi del suo aroma quando, caldo di cenere, si sbriciola sulla tovaglia in un arcipelago di croste.
Per questo c’è nel Vangelo tanto tripudio di pane, che dividendosi si moltiplica, e passando di mano in mano sazia la fame dei poveri seduti sull’erba, e trabocca nella rimanenza di dodici ceste.Continua a leggere →