Festa dell’emigrante e dell’immigrato

Voluta dall’Unità pastorale Valle d’Andorno

Bagno di folla, domenica 17 ottobre, in Valle del Cervo, per la 1ª edizione della “Festa dell’emigrante e dell’immigrato” voluta dall’Unità pastorale Valle d’Andorno (comprende paesi dell’Alta e della Bassa Valle del Cervo) con la collaborazione della “Casa museo” di Rosazza.
Dislocata in più punti del territorio valligiano, la manifestazione ha visto la partecipazione straordinaria, coloratissima di centinaia e centinaia di persone, giunte con rappresentanze più o meno folte da ogni dove: dalla Valsesia e dalla Valle d’Aosta, da Minervino Murge (Ba) e dalla Sardegna, dall’Abruzzo e dall’Africa (islamica e non), dall’Estremo Oriente all’America del Sud, dal Trentino Alto Adige alla Cina, dalla Romania alla Bulgaria, agli Stati Uniti, alla Francia, alla Calabria, alla Campania, per non citare che le etnìe più rappresentate.

Beninteso, molte delle comunità elencate risiedono ormai nella Valle del Cervo da tempo, dove lavorano con varie mansioni al benessere della società che le ha accolte.
Non mancavano, naturalmente, le “valëtte an gipoun”, che hanno fatto gli onori di casa con garbo, grazia e tanti sorrisi.
Tutti insieme, bambini e adulti, nei costumi caratteristici, per portare il proprio contributo di speranza in un mondo migliore, dove le razze e le ideologie non siano più motivo di divisione fra la gente, ma di arricchimento reciproco e tolleranza.
Il messaggio lanciato dal santuario di San Giovanni Battista d’Andorno non poteva essere più chiaro, tant’è che, come spiega l’artefice dell’iniziativa, Laura Schiapparelli Canova Calori, cui hanno dato man forte il marito Davide e i figli Giulia e Andrea, «sarà ripetuta, magari non subito, ma lo sarà». Lo chiedevano a gran voce i volti felici incontrati, le mani strette, le parole udite, i volti commossi.
Fitto il programma messo a punto, a iniziare dall’applaudito concerto del coro “La piuma” in Santuario il sabato sera precedente. Il settimanale “Famiglia cristiana” e la “Rivista biellese” avevano invece pubblicato articoli inerenti allo stesso argomento a firma del vicario di Campiglia Cervo, don Pierino Romano, e di Davide Canova Calori.
Il giorno della festa, giovani volontari di Andorno Micca, guidati da Gianna Prina Frassati, si sono prestati per illustrare ai visitatori le bellezze degli artisti biellesi e valsesiani contenute nella chiesa parrocchiale dedicata a San Lorenzo, mentre alle 12.30, presso il ristorante “Asmara” di San Paolo Cervo, si è tenuto il pranzo con don Pierino Romano e gli ex allievi delle Scuole tecniche (il più vecchio, Lorenzo Tiboldo, si era diplomato nel 1936). Chi scrive ha presentato il volume da lei curato “Il paese con la valigia”, sull’emigrazione roasiana nei secoli XIX e XX, in cui un capitolo è proprio dedicato alla formazione culturale fornita dalle Scuole tecniche all’emigrazione.
Al ristorante di San Giovanni, altro ricco pranzo condito da un fisarmonicista dal suono trascinante, mentre a Rosazza ha aperto eccezionalmente i battenti la “Casa museo”, che nel pomeriggio ha accolto, col suo presidente e direttore Gianni Valz Blin, per una visita approfondita, nientemeno che il vescovo, monsignor Gabriele Mana.
Alle 17 il Presule ha officiato in un Santuario stracolmo la santa messa (poco prima un complesso di Bergamo con antichi strumenti aveva deliziato sotto i portici il pubblico), attesa e ricca di emozioni, alla presenza fra gli altri di numerosi Sindaci in fascia tricolore, del presidente della Comunità montana Valle del Cervo Giancarlo Macchetti, dei Carabinieri di Andorno, degli “Amici di San Giovanni”. Nelle cappelle laterali di destra figuravano manichini con abiti maschili e femminili nigeriani, la foto di padre Greggio, miaglianese, missionario in Congo Belga per 63 anni, inviti a visitare la “Casa museo” di Rosazza e il “Museo dell’emigrante” di Roasio, poi ancora abiti, cappelli e cinture dell’Arabia Saudita, dell’Algeria, della Romania, della Bulgaria, della Bolivia, della Cina, in buona parte importati dai valligiani a fine Ottocento-inizio Novecento. Quindi, in una vetrinetta, un ostensorio del 1770, la bussola della Compagnia di San Giovanni Battista, un prezioso calice, il registro della raccolta della bussola nella Valle d’Andorno del 1763 e ancora tante curiosità. Fin qui la cronaca.
Frammezzo a tanta gente legata dalle comuni origini migratorie, potevano mancare i sardi di “Su Nuraghe”, capeggiati dal loro presidente Battista Saiu? Certo no, e infatti eccoli in massa al Santuario, nei loro caratteristici costumi, per le iniziative concordate e la testimonianza di una presenza forte e integrata nel tessuto sociale biellese.
Ancora oggi, per 1 milione e 600mila residenti nell’isola, ben 2 milioni risultano emigrati verso le zone maggiormente sviluppate d’Italia e con minor rilevanza verso l’estero. I legami con la nostra terra d’immigrazione sono noti e arcinoti, sottolineati anno dopo anno da mostre, calendari, fotografie diffusi sia in Sardegna, sia nel Biellese.
L’ultima riprova? Il gigantesco poster che campeggiava a San Giovanni Battista d’Andorno alla 1ª “Festa dell’emigrante e dell’immigrato” per promozionare la mostra fotografica “Impresari biellesi in Sardegna” che alla fine del mese sarebbe stata inaugurata al circolo “Su Nuraghe”, dopo che ad agosto era stata ospitata a Oschiri (SS) grazie all’organizzazione del Comune, della Regione Sardegna, della città e della provincia di Biella, della Federazione delle associazioni sarde in Italia, della provincia di Sassari e della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella.
Amerigo Boggio Viola, impresario biellese originario dell’Alta Valle del Cervo (era di Oriomosso, frazione di Quittengo), lavorò infatti alla costruzione della “Sarda Ammonia”, vale a dire della fabbrica per la produzione di concimi azotati che, grazie al processo elettrolitico, trasformava l’energia idroelettrica della nuova centrale del Coghinas.
Dapprima costruttore di grandi infrastrutture in Italia e in Francia, oltre che esperto alpinista e attento documentarista fotografico, «fu uno dei tanti laboriosi biellesi che, a partire dai primi decenni dell’Ottocento, realizzò impegnative opere in Sardegna, trasferendovi capacità imprenditoriali e competenze tecniche apprezzate e significative», come ha scritto sul catalogo di presentazione il presidente della Provincia, Sergio Scaramal.
E il cerchio si chiude.

Rosy Gualinetti

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