Biella, Vercelli, Gerusalemme: ricordo dello «Yom ha Shoah»

Domenica 22 Aprile, ore 17, a Vercelli, in Sala Foa, «Le mie ultime parole» letture, a tre voci alternate, di documenti riguardanti la Shoah, con Mirko Cherchi, Elisa Cicero e Francesco Logoteteta – regia di Ludovica Pepe Diaz – ingresso libero

Vercelli, sala Foa
Vercelli, sala Foa - (da sinistra) Francesco Logoteta, Rossella Bottini Treves, Presidente della Comunità Ebraica di Vercelli, Biella, Novara, Verbania-Cusio-Ossola, con Ludovica Pepe Diaz, Elisa Cicero e Mirko Cherchi.

In concomitanza con le celebrazioni che si tengono a Gerusalemme per lo Yom ha Shoah, giorno che cade il 27 di Nissan (19 aprile), per commemorare gli Ebrei deportati, gli attori che fan capo al Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe” di Biella daranno voce ad alcuni documenti riguardanti la Shoah, testimonianze e letture di lettere di Ebrei dai campi di concentramento.
In questo giorno, sull’intero territorio dello Stato ebraico, dopo il suono delle sirene, tutto si ferma: lavoro, mezzi pubblici e auto, per riflettere e ricordare l’immane tragedia che ha segnato la storia di un popolo e quella del secolo appena trascorso, affinché quelle atrocità siano condannate per sempre e mai più ritornino.
Durante la serata, verranno presentate immagini e musiche, con lettura di alcune lettere inviate dagli Ebrei che avrebbero poco dopo trovato la morte per mano dei nazisti. Documenti semplici e importanti, raccolti nel libro Le mie ultime parole a cura di Zwi Bacharach, edito da Laterza, dopo un lungo e difficile lavoro di indagine e di ricerca. Infatti, alcune delle lettere sono state trovate in archivi pubblici, altre erano conservate in raccolte private, pubblicate in libri appartenenti alle comunità distrutte, altre ancora costituiscono ricordi individuali e familiari.
Sono lettere inviate spesso in modo fortunoso, come quelle lanciate dai treni di deportazione e raccolte poi da mani pietose o, sebbene soggette alla censura degli aguzzini, quasi miracolosamente pervenute a noi. Scritte da persone di ogni età ed estrazione sociale, hanno tutte come comune denominatore la certezza di una violenta morte incombente, senza altra ragione d’essere se non l’appartenere ad un popolo disperso nel mondo e, molto spesso, completamente assimilato alle popolazioni che da secoli l’ospitavano.

Eulalia Galanu

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