
I recenti avvenimenti ci avvertono ancora una volta di come i crimini della Shoah possano ripetersi e di come «ciò che è stato fatto contro gli ebrei riguarda tutti» ((Citando il rabbino-capo emerito di Roma Elio Toaff, così il neo Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, il 19 Gennaio 2012, nell’intervento per il Giorno della Memoria 2012 (http://www.cooperazioneintegrazione.it/news/2012/01/%C2%ABgiornata-della-memoria-non-sia-mai-una-stanca-ritualit%C3%A0%C2%BB.aspx.). E pure: E.Wiesel, Shoah. Perché non possiamo dimenticare, in La Repubblica, 27 Gennaio 2004, p. 13. Nonché: F.De Bortoli, Shoah, la memoria è giustizia, in Corriere della Sera, 24 Gennaio 2011; R.Della Rocca, cit.)), sia come vittime, sia come attori. Per tale motivo ogni 27 Gennaio viene celebrato in Italia il «Giorno della Memoria», introdotto e calendarizzato a seguito dell’approvazione della Legge 211/2000 per ricordare quanto allora accaduto, quale «grande lezione che va riproposta alle giovani generazioni» ((Così Andrea Riccardi, cit. E: R.Della Rocca, cit.; Giorgio Napolitano, cit.)). Tuttavia tale giornata non può trasformarsi in una mera ritualizzazione od essere una sorta di «religione» civica destinata a rimanere, in quanto tale, a sé stante, circoscritta in superficiali momenti di ricordo e commemorazione che, una volta esauriti, lasciano poi spazio ad espressioni di razzismo e di violenza ((Gad Lerner ha asserito «che la memoria non diventi una religione, ma si perpetui come indispensabile guida, provvisorio insegnamento»: cfr. E.Coraretti, Il Dizionario dell’Olocausto per il Giorno della Memoria, in Il Venerdì di Repubblica, 20 Gennaio 2012, p. 98. Ancora Andrea Riccardi (cit.), quando ha precisato come: «Il giorno della memoria non deve essere una stanca ritualità, ma deve tenere viva in tutta la sua drammaticità la memoria della Shoah». E così pure già: F.De Bortoli, cit..; R.Della Rocca, cit.; R.Gattegna, cit.; S.Nirenstein, Se i nuovi antisemitismi cancellano i ricordi, in La Repubblica, 27 Gennaio 2004, p. 14; G.Tesio, Turisti a Auschwitz?, in Tuttolibri-La Stampa, 22 Gennaio 2011.)) come il recente attacco ai Rom di Torino. Viviamo, peraltro, in un’epoca nella quale si giudica come soggetto “eccezionale” o persino “eroe” chi semplicemente compie il proprio dovere o colui che si comporta da onesto cittadino con l’ottica etica di contribuire ad una civile convivenza. Questo modo di meravigliarsi e di intendere con stupore la realtà cela semplicemente la crisi che pervade le nostre società circa il principio di responsabilità personale e collettiva, in riferimento al ruolo di ognuno di noi e alla dinamica delle relazioni che si hanno con gli altri, sia con i cosiddetti “propri vicini” sia rispetto a quelli ritenuti “diversi”. Da qui la necessità dell’istituzione del «Giorno della Memoria», nato nell’intenzione dei suoi fautori anche per «imprimere nella coscienza italiana l’immagine della responsabilità» ((Così: F.Colombo, cit., p. 11.)). Non a caso un filosofo come Emanuel Levinas sottolineava come «nella responsabilità per gli altri vi è in ultima analisi responsabilità della morte dell’altro (…) Il timore della morte dell’altro è certamente alla base della responsabilità per lui» ((Così citato in: M.Bianchi-E.E.Richetti, Dio allora pronunciò tutte queste parole: Non uccidere (Esodo 20,1.12), Sussidio per la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici ed Ebrei – 17 Gennaio 2012, Mediagraf, Padova 2011, p. 9. Ed implicitamente: R.Della Rocca, cit.)).
La Memoria può e deve essere un baluardo contro l’amnesia, l’indifferenziazione e la vita cristallizzata in un eterno “adesso”: essa, infatti, è qualcosa di “vivente”, che si alimenta nella sua perpetuazione intergenerazionale attraverso la riflessione sull’accaduto e le domande sulle cause ((Si vedano a riguardo i vari lemmi in: N.Pethes-J.Ruchatz, cit.)). Ma, soprattutto, la Memoria si nutre di esperienza viva, di conoscenza del passato ed ha una dimensione “politica“, nel senso di far meditare continuamente sul nostro ruolo qui ed oggi, come individui e come membri della collettività, nella composizione del presente e, da qui, nella costruzione del futuro ((Cfr. F.De Bortoli, cit.; R.Della Rocca, cit.; R.Gattegna, cit.; N.Pethes-J.Ruchatz, cit.; E.Wiesel, cit., p. 13. E Giorgio Napolitano, cit.)). Essa è un fattore essenziale, perché, parafrasando Alessandro Manzoni, senza la Storia siamo come «uno che cammina senza guida» ((Così il personaggio di don Ferrante con riferimento alla politica in: A.Manzoni, I promessi sposi, cap. XXVII. E su tale ottica di idee anche il filosofo contemporaneo Zygmunt Bauman, citato in W.Laqueur, cit., voce “Storiografia“.)), lungo un cammino nel quale – si ribadisce – quanto «è avvenuto (…) può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può accadere e dappertutto» ((Così: P.Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986, citato in La Repubblica, 27 Gennaio 2004, p. 13.)).
Gianni Cilloco