Ricordo di Salvatore Còntini nelle parole del cappellano di Su Nuraghe

mirto fruttatoDopo aver celebrato l’Eucaristia, sacramento della morte-risurrezione del Signore, è giunto il momento di rivolgere al nostro fratello Salvatore il nostro saluto, il nostro addio. Nell’uso consueto diciamo “addio” quando non vediamo alcuna possibilità di incontrare ancora una persona. Ma questa parola racchiude in sé un significato diverso: “a Dio”; e poiché Dio non è Dio dei morti ma dei viventi, questo saluto rimanda ad un incontro che non avverrà in questa condizione terrena, mortale, ma in Dio, nella vita beata e immortale che Dio prepara per noi. Nutriamo allora la speranza che questa nostra assemblea che ora scioglieremo, nella tristezza del distacco, la ricomporremo nella gioia della risurrezione.
Salvatore è nato nella terra di Sardegna, nella bella terra di Sardegna e, dopo aver lavorato come pastore e minatore, è emigrato in questa terra che noi sardi chiamiamo “Continente” – perché la bella terra di Sardegna spesso non è governata bene, in modo da offrire ai suoi figli la possibilità di una vita dignitosa. Qui, in continente, ha dato – come tantissimi sardi – un contributo di lavoro in diverse occupazioni, delle quali voglio sottolineare quella di postino, che lo ha portato ad incontrare molte persone, lui che non aveva certo un temperamento schivo, ma aperto alle relazioni. Si è impegnato però anche nella vita sociale: in politica, nell’amministrazione del paese (non senza motivo è presente il gonfalone del Comune di Pettinengo), nel sindacato, nella vita delle associazioni. Era legato molto al Santuario di Banchette, che frequentava insieme al fratello Gavino, all’epoca del rettore padre Coppetti – chi non lo ricorda come battitore di incanti a favore di quella chiesa? Un aspetto ancora desidero far presente: aveva imparato da giovane a suonare la chitarra e gli piaceva farlo durante le feste con gli amici, accompagnando le canzoni “a chitterra, comente naramus nois”.
Tutto questo siamo chiamati a ricordare in questo momento in cui lo presentiamo a Dio, chiedendo che sia misericordioso per ciò che nella vita ha fatto di male o poco bene – come tutti noi peccatori – e implorando che possa essere accolto nella pienezza della vita, in Dio.
Al termine delle esequie la comunità dei sardi biellesi, di cui faceva parte, lo saluterà con il canto del “Dues ti salvet Maria”, l’Ave Maria sarda per le voci del coro del Circolo Su Nuraghe.

Don Ferdinando Gallu

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