Il terzo appuntamento con “Su Nuraghe film”, la rassegna mensile presentata da giovani sardi di seconda e terza generazione, ha fatto registrare la partecipazione particolarmente attiva al dibattito da parte del pubblico presente in sala. Quasi a pretesto la proiezione di “Oro rosso”, lo zafferano sardo, breve filmato del regista cagliaritano Davide Mocci, una clip di pochi minuti, trasmessa da Rai 3 nel novembre 2014, all’interno di un interessante servizio sugli antichi sapori di Sardegna, nella trasmissione GEO.
Centro della discussione la difficile situazione economica dell’Isola con la chiusura delle poche industrie e di molte attività produttive: insidiati e attaccati i settori agroalimentari e della zootecnia. Ai sempre difficili trasporti delle merci fresche verso i mercati italiani ed europei, si aggiunge la grave sofferenza dell’industria conserviera e il recente grave massiccio tentativo di smantellamento della pastorizia con il latte di pecora sottopagato che ha costretto i pastori sardi a scendere più volte in piazza per difendere il diritto a vivere e a lavorare in Sardegna, scongiurando gli orizzonti di nuova emigrazione, l’esodo che ha costretto metà della popolazione fuori dall’Isola.
Con sei milioni di pecore allevate in Sardegna, l’Isola detiene il 60% del patrimonio ovino italiano.
Ma, con “…nomi di fantasia come quelli della società Lactitalia, la quale esporta in Usa e in Europa e produce in Romania formaggi di pecora venduti con marchi che richiamano al Made in Italy come Toscanella, Dolce Vita e Pecorino. Una società di proprietà della Simest, controllata dal Ministero dello Sviluppo Economico, e dei Fratelli Pinna attraverso la Roinvest con sede a Sassari, con amministratori tra gli altri come Andrea Pinna che è vicepresidente del Consorzio di Tutela del Pecorino Romano e Pierluigi Pinna che è consigliere dell’organismo di controllo dei formaggi pecorino Roma, Sardo e Fiore Sardo Dop che dovrebbero promuovere il vero pecorino e combattere la concorrenza sleale e le contraffazioni. …è fatta all’estero con i soldi pubblici, a danno dei produttori italiani e dell’immagine del vero Made in Italy sui mercati internazionali. La società romena Lactitalia, posseduta al 29,5 per cento dalla Simest, controllata dal Ministero dello Sviluppo economico, e per il 70,5 per cento dalla Roinvest con sede a Sassari fa capo alla famiglia Pinna” (fonte Coldiretti) ((Pecorino sardo fatto in Romania? Il falso Made in Italy è anche in Ecuador)).
Situazione grave, peggiorata dall’attacco sferrato anche all’industria turistica con l’ingiustificato aumento delle tariffe aeree e navali: in Europa è più facile e costa meno andare a Londra, piuttosto che atterrare all’aeroporto internazionale di Cagliari.
Una Sardegna che si vorrebbe sempre più lontana, esclusa da Expo 2015, evento sull’alimentazione e la nutrizione in scena a Milano dal 1° maggio, dove il porchetto sardo – solo a seguito di molte proteste, è stato ammesso all’esposizione universale in cui sono presenti cibi di tutto il mondo – con la firma dello specifico protocollo tra Regione Sardegna e Ministero, in deroga alle normative vigenti in materia di peste suina africana, può partecipare. Un risultato soltanto a metà. Dal protocollo si capisce che mezza Sardegna resta esclusa e che il porchetto avrà diritto di cittadinanza solo entro il recinto di Expo: sarebbero infatti vietate “la vendita e la commercializzazione all’esterno”. Il porchetto quindi potrà semplicemente essere presentato, ma quale ricaduta economica può avere l’azione promozionale per i produttori e per le aziende di trasformazione sardi se i consumatori non potranno trovarlo da nessuna parte fuori della Sardegna? Il prodotto non utilizzato, secondo Copragri, Confederazione Produttori Agricoli, dovrà essere smaltito come prodotto in categoria 1 secondo la normativa comunitaria, come se fosse materiale altamente pericoloso.
“Ora chiediamo – afferma Ignazio Cirronis, presidente regionale di Copagri – per l’ennesima volta: se il prodotto termizzato alle condizioni imposte dall’Unione Europea, non può più trasmettere la peste suina, non ha alcuna importanza da dove proviene e quindi ha poco senso escludere alcune aree della Sardegna, perché non può essere venduto regolarmente? Il protocollo, inoltre, non fa riferimento ai prodotti stagionati per almeno 190 giorni – incalza Cirronis – parliamo dei prosciutti che dopo tale periodo non presentano più tracce di peste suina. Vanno bene le restrizioni, ma quando si esagera, si esagera” ((Maialetto sardo all’Expo, i produttori: “Tanta fatica per nulla, il risultato è un bluff”)).
Durante il dibattito alcuni si sono chiesti: ma la Sardegna è Italia
Eulalia Galanu
Nell’immagine: alcuni partecipanti alla proiezione di Oro rosso