Maggio, una parola sarda al mese: T come Tirreni

Radici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico di storia e di cultura sarda a Biella

incipit T, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac NocteTIRRENI. Per gli antichi Greci i Τυρςηνοί provengono dalle alture dell’Athos, le quali figurarono da loro occupate. Secondo Erodoto (I, 7; I, 94) Tyrsenos, figlio di Atys, avrebbe guidato i Lidi in Italia e avrebbe dato nome ai Tirreni. Ma c’è pure la terza citazione, quella di Strabone (V, 2,7), secondo cui, arrivando in Sardegna, gli Joléi si mischiarono con gli abitanti delle montagne che si chiamavano Tυρρηνοί. Secondo Ellanico, i Pelasgi sono stati designati col nome Tυρσηνοί dopo il loro arrivo in Italia. Le quattro attestazioni, a ben vedere, non si contraddicono ma vanno interpretate.
Anzitutto, il popolo etrusco, da qualcuno chiamato Tirreno, non gradì mai quell’appellativo, pago del più antico rāš-, Rasenna, da accadico rēšu ‘head, top quality; testa, alta qualità’, cananeo rāš, ebraico rōš ‘capo, principe, leader’ + accadico enu ‘lord, signore’, col significato di ‘signore-principe’. I Tirreni da altri sono stati interpretati come “erranti”. E ciò è più consono ai Tirreni della Sardegna (vedi Strabone), perché in tal caso l’appellativo sarebbe semanticamente identico a quello di Diaghesbeís (= *Transhumantes), nome greco col quale in seguito i montanari sardi furono chiamati. Come si vede, l’appellativo Tirreno circolò nel Mediterraneo a tal punto da dare il nome al Mare Tirreno.
Massimo Pittau, citando a rinforzo il latino turris e il greco τύρρις ‘torre, fortezza’, andò diritto a sostenere che il Mare Tyrrenum ricevette quel nome dai Sardi, grandi costruttori di torri (le quali erano null’altro che i 10.000 nuraghes). Grande onore per la Sardegna. Ma le questioni legate alle etimologie non vanno sempre lisce. E mentre nella lingua sarda è per lo più facile trovare l’origine dei suoi vocaboli (che spesso riusciamo a condividere pariteticamente con l’altra sponda del Tirreno), la proposta del Pittau pone più problemi di quanti ne risolva.
Anzitutto egli non ha sciolto affatto il paradosso perfetto determinato dal latino turris. Se noi, come lui vorrebbe, dovessimo accettare questa denominazione proveniente dalla lingua latina, dovremmo anche sostenere che i Sardi (e con loro tutti i popoli mediterranei) dovettero attendere più di mille anni dalla creazione dei nuraghes, ossia dovettero attendere che nascesse la città e la potenza di Roma, per poter ricevere dal Lazio un vocabolo col quale si volle nominare il Mare Tyrrhenum. Pittau non ha mai sciolto questo enorme paradosso, perché non si è mai accorto che i Sardi usavano le stesse parole trovate in bocca ai Romani, ma le usavano da millenni prima che Dio decidesse di fare apparire Roma.
Il tentativo di risolvere il busillis passa anzitutto dal rimarcare che l’italica –i– di Tirreni, altrimenti scritta –y– alla greca, non è altro che l’arcaica –u– del mondo semitico, e prima ancora del mondo sumerico. Ovviamente essa corrisponde, fin dalle arcaiche origini, alla –u– sarda.
Il secondo approccio di avvicinamento passa, necessariamente, per il vocabolo sumerico tur ‘rifugio’ (per animali, per uomini), poi rivitalizzato nell’accadico (e nell’assiro-babilonese) tūrum ‘rifugio’. Va da sé che il concetto plurimillenario di torre in quanto ‘fortezza difensiva’ ha la più antica radice nella lingua sumerica.
Il terzo approccio riguarda pur sempre la Sardegna, perché ci accorgiamo che l’arcaico concetto sumerico di ‘rifugio’ si ritrova intatto in Turris Libysonis. E qui la questione si complica – almeno agli occhi di chi è digiuno di etimologie – poiché quel Turris (Libysonis) non deriva affatto da alcuna “torre” costruita dai fondatori romani: il nome esisteva almeno da 10.000 anni. Infatti, se escludiamo la seriore latinizzazione palesata nel suffisso –is, eccoci di fronte all’arcaica base sumerica tur ‘rifugio’, che veniva riservato all’estuario dell’attuale rio Mannu, sulle cui sponde interne nacque Turris Libysonis per il semplice fatto che 2000 anni fa esso era un estuario placido e profondo che consentiva alle navi di porsi in salvo specialmente durante le tempeste di Maestrale. Quanto a Libysonis, è un solo concetto reiterato, con base nell’accadico libbu ‘parte intima, utero’ + sūnum ‘seno, grembo, fianchi’. Quindi, poiché la lingua che noi chiamiamo “sumerica” è la più antica del mondo (e può dirsi una sola cosa con la lingua sarda), va da sé che Tur o Turu fosse il primitivo nome dato a quell’estuario che fu poi attraversato dallo splendido ponte romano. In seconda battuta si sommò al primo epiteto lo stato-costrutto libbī-sūnu (da libbu-sūnu), che meglio specificò l’incanto che prima dei Romani doveva qualificare quel sito fiabesco, dove un placido fiume boscoso sfociava tra due splendide spiagge (oggi scarnificate e violentate dagli impianti industriali). Libbu-sūnu > Libbīsūnu significò ‘Seno intimo’, ‘Rifugio intimo’: un appellativo di altissima poesia.
Ma torniamo al Mare Tyrrhenum ed ai Tyrrheni, il cui appellativo può essere spiegato anche in altro modo. Le difficoltà del glottologo-etimologo nascono, paradossalmente, dalle troppe opzioni disponibili per la soluzione del mistero. Ogni ulteriore opzione assomma una ulteriore difficoltà poiché, se sbagliasse la scelta tra opzioni, l’etimologo s’infangherebbe nel ridicolo.
Ad esempio, si può vedere Tyrrenus come composto basato sull’aramaico tur ‘monte’ + akk.-sum. enu ‘lord, signore, padrone’. In questo caso Turr-enu si riferisce a Tiro, la quale nacque sopra un alto scoglio isolato nel mare. Il sardiano Turr-enu (poi lat. Tyrrhenus) significherebbe quindi, letteralmente, ‘signore di Tiro’, ‘dominatore, abitante di Tiro’. Se accettiamo l’opzione, sarebbe chiaro che i Tyrr-eni non erano altro che i Tyr-i, gli abitanti di Tiro, ossia erano i Šardano-Fenici (i ri-fondatori di Tiro) che ritornavano ad abitare o frequentare la madrepatria, ossia la Sardegna, dopo l’epopea dei Sea Peoples.
Purtroppo non possiamo omettere nemmeno l’opzione del Tyrreno proveniente dalla Lidia. Secondo il confluire di fonti quali Dionigi d’Alicarnasso 1,27; Erodoto I, 7; I, 94; Nicola Damasceno FGrH 90, 15, Gige nonno di Atys, prima d’inaugurare la lista dei re lidii nella città di Sardi, fu tiranno a Tύρρα (leggi Turra). È da qui che fu dato il nome Tyrrhenos al figlio di Atys, che letteralmente significò ‘Signore, dominatore di Tyrrha’ (nome di nostalgia). E, guarda caso, da qui deriva il cognome sardo-osilese Turra. Non va quindi sottovalutata l’importanza della citazione di Erodoto e degli altri autori. Quel Tirreno proveniente dalla Lidia, avente lo stesso nome dei nostri Tyrrheni, crea una confusione imbarazzante.
Ma, secondo il mio modo d’intendere, il concorrere del nome lidio-accadico Tyrreno inteso come ‘Signore, dominatore di Tyrrha’ è una concomitanza fortuita la quale non inficia il fatto che i Tyrreni, coloro che diedero il nome al Mare Tyrrenum, furono gli Shardana-Fenici di ritorno da Tiro. Comunque si metta la questione, è del tutto ovvio che il Mare Tyrrhenum prese nome da Tyrrheni provenienti dalla Lidia verso la Sardegna, nonché dai Tyrreni che tornavano da Tiro alla Sardegna. Insomma, non si può affatto nascondere l’evidenza macroscopica che i Tyrrheni non furono altro che gli Shardana, i quali nei secoli dell’epopea nuragica furono padroni del Mare Nostrum.

Salvatore Dedola,
glottologo-semitista

Nell’immagine: l’incipit “T”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009

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