Aprile, una parola sarda al mese: S come Sardu

Radici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico di storia e di cultura sarda a Biella

incipit S, in Giampaolo Mele, Die ac NocteSARDU, Sardi. Questo aggettivo denomina la popolazione della Sardegna. La radice sard– era usata, oltreché in Sardegna, nel sud-est mediterraneo e in tutto il Vicino Oriente. L’ultimo nome noto è Sarduri II re di Urartu, capo di una coalizione di regni neo-ittiti che perse la guerra di fronte al re-usurpatore assiro Tiglat-phalasar (744-727 a.e.v.). Anche gli Ebrei conoscevano tale radice: l’ebreo Sèred סֶרֶד (Gn 46,14 e altri passi biblici) fu uno dei tanti cananei che si trasferirono da Israele in Egitto. In Sardegna il radicale sard– è collegato anche al cognome Sardu, Sardo, Sardà, Sardànu, Sardòne, Sardella, nonché al villaggio Sàrdara. Secondo Pausania il periegeta (II sec. dell’Era volgare), Sardos libico fu colui che diede nome ai Sardi. E qui, a dargli retta, veniamo risucchiati dalle correnti di pensiero greche, le quali tentano di accreditare la colonizzazione originaria della Sardegna per loro mano. Fior di studiosi credono a Pausania. Ma sono gli stessi che sono stati abbindolati dalla “ideologia della colonizzazione”.
Confusi da tale ideologia, gli attuali accademici citano anche l’erodotea Σάρδεις in Anatolia (Lidia) quale prova linguistica di una parentela tra Lidi (colonizzatori) e Sardi (colonizzati). E non s’accorgono che Erodoto, scrivendo Σάρδεις, secondava un “liberale” adattamento ad orecchio ch’era già avvenuto presso i Greci delle coste anatoliche, i quali non riuscivano a scrivere in altro modo l’originario Sfard (persiano Saparda, ebraico Sephārad). Gli studiosi che legano l’origine dei Sardi alla Sárdeis erodotea se ne facciano una ragione, o almeno cerchino di ottenere prove meno puerili, tali da giustificare – scientificamente – quest’enorme differenza fonetica, che va in rotta di collisione con i loro “sogni di gloria riflessa”.
Convinto del legame coloniale Sárdeis-Sardi, Massimo Pittau OPSE 235 propone anche il parallelo tra l’etnico Sardiános e l’etrusco-toscano Sartiano (= Sarteano) nonché Sartiana, facendo intendere, su basi fonetiche, che una parte dei Sardiani, dopo essere approdati dalla Lidia direttamente in Sardegna (cui lasciarono il nome), si trasferirono in Etruria e lasciarono in qualche villaggio il proprio nome d’origine, così come fecero in Corsica col toponimo Sartène.
In verità, l’aggettivale Sardu si ritrova già nel termine ŠRDN rinvenuto nella celebre stele di Nora; ma è ancora più antico, poiché il popolo Šardana è già indicato nei testi egizi fin dal 1500 prima dell’Era volgare. In Egitto gli Šardana (o Shardana) sono registrati come Šarṭana, Šarṭenu, Šarṭina (EHD 727b). Altre volte nei testi egizi sono indicati come Šarṭana n p iām ‘Shardana quelli del mare’ (per n EHD 339a, per p EHD 229a, per iām EHD 142b). Wallis Budge li considera provenienti dalla Sardegna. Lo stesso pensano gli archeologi ed i filologi egiziani, assieme alla maggioranza degli studiosi di scuola inglese e americana. Così la pensa anche l’archeologo sardo Giovanni Ugas. Pittau invece, soggetto alle teorie coloniali, pensa provengano dalla Lidia. A me è chiaro che l’egizio Šarṭana è un aggettivale mediterraneo con suffisso –an, –ána, –ánu (proveniente dal sumerico ana ‘che’, ‘chi’, ‘ciò’, ‘che cosa?’ (pronome relativo); pertanto Šardana, Šarṭana (ed il cognome sardo Sardànu) significa ‘quello di Sardō‘.
Sardō è un coronimo, indica l’isola di Sardegna; che indichi proprio la Sardegna lo attesta l’arcaico cognome Sard-us, Sardo, un aggettivale di origine (= ‘quello di Sardō’) che ha radice nella lingua sumera. L’affermazione di Pausania che Sardus libico sia l’eponimo dei Sardi, pur essendo nata da ideologie coloniali, aiuta a mettere in relazione Sardus con i Sardi e diffida dal cercare l’etimologia nel nome della lidia Sárdeis (Sfard). Sardus è soltanto l’etnico di Sardō, e quest’ultima già per i Greci era esclusivamente l’isola di Sardegna (Erodoto 1, 170: Σαρδώ). Sardū in sumerico significa ‘tutta un giardino’ (con ovvio riferimento all’isola che stava al centro del Mediterraneo, la quale 5000 anni fa dovette essere veramente una sorta di Paradiso Terrestre). Poiché i Sumeri esistettero da millenni prima del 3300 a.e.v., sembra ovvio che certi termini erano in uso fin dalla notte dei tempi, e noi non siamo obbligati ad immaginare che il focus originario fosse la Lidia (Pittau), o la Libia (Pausania). Che poi persino le principesse anatoliche assumessero certi nomi sumerici, è ovvio, vista la rinomanza della lingua sumerica nella Mezzaluna Fertile, nell’Anatolia, in Persia, nella penisola balcanica, nel Mediterraneo. Non deve stupire che la moglie del principe lidio Tirreno si chiamasse Σαρδώ ‘Tutta un giardino’.
Anche il coronimo latino Sardìnia ha la stessa base sumerica di Σαρδώ, con la differenza che tra i Greci circolava il nome in purezza (Σαρδώ), mentre in Italia e in Sardegna circolava un composto sumerico denotante la ‘Dimora dei Sardi’: Σαρδώ + ĝa ‘dimora, casa’, legati in stato-costrutto mediante la giuntiva –i-, Σαρδīĝa, dove /ĝ/ va letta /gn/. I Latini non avevano i caratteri alfabetici per la giusta trascrizione di /ĝ/ e scrissero –nia. Lo stesso accadde con la trascrizione del coronimo Sardigna nei caratteri fenici della Stele di Nora (ŠRDN), poiché l’alfabeto fenicio non aveva il segno /gn/, il quale invece non difettava ai Sumeri. A scanso di equivoci, preciso che i sumerologi preferiscono dare al segno /ĝ/ la lettura capovolta /ng/. Ma da tantissime etimologie sparse per tutta Europa si capisce che l’originario /ng/ assunse varie inflessioni secondo i popoli ed i territori (per una discussione esauriente vai al lemma Berlinguer).
La tradizione del nome-cognome Sardu è veramente arcaica: esso ha forma sumerica ma la sua tradizione risale certamente al Primo Paleolitico, forse a 100.000 anni. Il Dio Unico fu sempre adorato da qualsiasi popolo, anche dai Sardi, e ricevette più di un epiteto, tutti presenti in Sardegna, a cominciare da Deu, che significa ‘Creatore dell’Universo’ (sum. de ‘creare’ + u ‘universo’). Anche Sardu significa ‘Creatore dell’Universo’ (sum. Šar ‘totalità, mondo’ + ‘Creatore’). Va da sé che le dicerie messe in moto dai Greci e metabolizzate finora da ogni accademico, secondo cui Sardo, Sardu sarebbe nome non-sardo, di etimo comunque ignoto e per giunta di origine straniera, lidia o africana che fosse, la cui impronta starebbe nel greco Σάρδεις, vengono automaticamente sconfessate da questa etimologia sardo-sumerica.
La controprova dell’autoctonia di Sardu, la prova provata ch’esso è addirittura l’eponimo, ossia il nome di origine, dei Sardi, la troviamo nel termini Sardus Pater. Questo personaggio è arcinoto, anche perché gli fu dedicata una serie di monete romane, coniate in Sardegna. Egli fu l’eroe eponimo dei Sardi, un Dio Fondatore della stirpe; ma per poter dire ciò dobbiamo affrontarne l’etimologia.
La riedificazione del tempio punico di Antas (rifatto ai tempi di Caracalla ma dedicato in origine a Sid) fu intestata proprio al Sardus Pater, il cui attributo era Babay (templum Dei Sardi Patris Bab…). La concatenazione dei tre appellativi fa percepire nitidamente che al fondo dell’enunciato sta una complessa paronomasia. Basta una rapida analisi lessicale a dimostrarla: 1) la sequenza Sardus Pater ‘Sardo Padre’ è declinata secondo la grammatica latina, mentre Babay ‘padre, babbo’ non è declinato, e fu evidentemente interpretato secondo la grammatica sarda del tempo. 2) Su un diverso piano analitico scorgiamo la contraddizione tra Pater e Babay, ambedue indicanti il ‘padre’ (babay può essere anche il ‘nonno’): comunque è una ridondanza senza senso.
Le due incongruenze analizzate dimostrano che già ai tempi di Caracalla s’era insinuata la paronomasia, ossia la traduzione ad sensum di una dedica templare che l’architetto non riusciva a (o gli era stato imposto di non) comprendere nel significato sardiano. Possiamo soltanto arguire che i Romani con Sardus Pater Babay concedevano la celebrazione di un dio-eroe eponimo dei Sardi, con l’ovvio intento (dopo 450 anni d’occupazione) di sancire infine una certa qual pacificazione tra Roma e l’Isola.
Ricostruire il significato esatto di tale locuzione oggi è possibile, partendo ovviamente dal sardo Babay, che ancora nella lingua attuale si pronuncia babbáy, babbu ‘babbo, padre’, principalmente ‘Padreterno’, da sumerico babaya ‘old man’.
E così in suolo sardo per l’ennesima volta sveliamo le radici arcaiche della lingua sumerica. In Sardegna in origine i vocaboli latineggianti Sardus Pater Babay dovevano essere composti nella sequenza Šar Dū Padr Babay, col significato di ‘Terribile Signore Creatore dell’Universo’ (Šar ‘totalità, mondo’ + ‘Creatore’ + Padr ‘distruttore’ + BabaySignore, Kýrios’). Lo stesso epiteto, oggi evidentemente corrotto dall’intervento del clero bizantino, ritroviamo nel Monte Santu Padre, una montagna visibile da mezza isola, il cui nome desta immediato sospetto perché in Sardegna dovrebbe dirsi Monte Babbu Santu. È una paronomasia: in origine doveva essere Monte Sardu Padr.
Insomma, la dedica corrotta del tempio di Antas, il nome corrotto della montagna più alta del Màrghine, infine l’etimologia qui specificata, sono tre prove concorrenti a dimostrare che Sardu è l’arcaico Dio eponimo dei Sardi. Quella figura sacra era lo Jupiter sardo, parimenti terribile come fu Giove Pluvio Tonante, follemente distruttivo come lo Zeus olimpico, tremendo e vendicativo come il Dio degli Eserciti ebraico. Non è affatto ozioso mostrare qui – a chiarimento dell’intera questione – l’etimologia del nome latino Piter ‘Giove’. Esso ripete pari-pari un nome mediterraneo che ritroviamo non solo in Sardegna ma principalmente in Israele: Geova < ebr. IAHW, sardo Jaccu, Giágu (cfr. il teoforico Giov-anni, JohHan = ‘Geova di Canaan’) + pater < sum. padr ‘distruttore’. Le altre forme di Jupiter (Iovis, Iovi, Iovem…) hanno ancora la base Jov– ossia Geova (cfr. sempre Giovanni) + suffisso lat. –is.
L’origine della concezione mediterranea del Dio Unico fu veramente grandiosa, e fu nell’Alto Paleolitico che nacquero le parole più preziose della nostra cultura; fu allora che il vocabolario di questo amplissimo comprensorio euro-mediterraneo-asiatico cominciò a proliferare producendo nuovi concetti da una stessa parola (polisemia). Così ‘Creatore’ prese a indicare anche la ‘Parola’ per antonomasia, perché anche la parola è creazione. Quindi non possiamo meravigliarci di fronte alla frase iniziale del Vangelo di Giovanni, In principiō erat Verbum, poiché la Creazione ed il Verbum furono, per i nostri antichi padri, lo stesso fenomeno. E così veniamo a scoprire che il lat. Verbum ha il corrispettivo sum. Urbu = ‘Essere Perfetto’ (da Ur ‘Egli, Colui che’+ bu ‘perfetto’). Con ciò veniamo a sapere che Sardu fu non soltanto il Creatore dell’Universo ma pure il Creatore della Parola (Šar ‘Universo’,‘Creatore’, o ‘Parola’).

Salvatore Dedola,
glottologo-semitista

Nell’immagine: l’incipit “S”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009

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