Dicembre, una parola sarda al mese: N come NIEḌḌU

Radici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico, di storia e di cultura sarda a Biella

incipit N, in Giampaolo Mele, Die ac NocteSarebbe più oleografico che, attenendomi a questa lettera alfabetica, io parlassi del mese di Dicembre (che in Sardegna chiamiamo Nadále), come di un mese dedicato al “vogliamoci bene”. Ma sono allergico alle prediche eminentemente verbali, al reciproco magistero del “rispetto” che spesso cade al suolo e s’infrange repentino, così com’è repentina la stessa parola “rispetto”, il cui suono si spegne dopo il fiato dell’emissione. Servirebbe qualcosa di più duraturo.
Considerate le premesse, oggi intendo parlare di un’altra parola cominciante con N-.
Comincio allora col lat. niger, nigrum, voce mediterranea arcaica. Oggi il parlante occidentale, infatuato dalle mode americane, non vuole più usarla, allertato da un passa-parola beghino secondo cui qualsiasi uomo “di colore” si deve adontare di tale aggettivale (velenoso epiteto per le orecchie di un negro). Ovviamente i negri appena sbarcati in Italia con provenienza centro-africana non accetterebbero mai un tale aggettivale, perché arrivano già imboniti dalla propaganda americana, rivolta al feticcio della parola in sé anziché a un rispetto democratico tutto ancora da condividere (anche in Italia!). Eppure in Italia l’aggettivale negro fu usato senza ipocrisia da sempre, persino in varie canzoni recenti (es. “Pittore ti voglio parlare”, “Mamma negra”, “Hully-Gully”). Ma oggi l’ipocrisia ci sta affogando tutti quanti, e finora – guarda caso – si è ignorata la base etimologica di negro, che è il sum. ni gur ‘che incute timore’.
Questo aggettivale latineggiante a sua volta ha riscontro nell’it. nero, che – guarda un po’! – deriva dal sum. neru ‘nemico’.
Il discorso si chiude a triangolo col sardo nieḍḍu ‘nero’, la cui base non è un inesistente lat. *nigellus ‘nereggiante’, come invece qualsiasi latinista va proponendo senza criterio, ma è il sumerico ni ‘paura’ + e ‘far entrare’ + dub ‘tremare’: niedub = ‘paura che fa tremare’, ossia ‘paura tremenda’.
Perché dunque la gente “di colore” fu chiamata negra? Semplicemente perché il nero, il buio, di per sé hanno sempre indotto un forte senso di paura, di pericolo. Ma ciò non volle mai essere un epiteto ingiurioso quando si nominava un negro. Tant’è che nel passato ormai lontano l’Italia ha persino avuto imperatori negri (come Settimio Severo); ciò avvenne perché nella storia antica non c’è ombra di rivalità tra uomini distinguibili per una banalissima coloritura dell’epidermide. La Chiesa ebbe persino un grande Santo, Agostino, la cui effige ci torna in mente proprio per i suoi capelli molto ricci, tipici della gente centro-africana anche se lui divenne famoso come vescovo d’Ippona, sul Mediterraneo, e fu considerato soltanto “maghrebino”.
Oggi questo triangolo tirrenico niger/nigrum-nero-niéḍḍu, da qualsiasi parte lo assumiamo, sarebbe un affronto per i negri. Guarda un po’ come la colonizzazione americana ci ha rimbecilliti nel breve tempo di 30 anni! E noi altezzosi tirrenici, terrorizzati (ossia resi niéḍḍi) dalla “dittatura dell’ignoranza”, non sappiamo più trattare i nostri fratelli di cute diversa, e ci lasciamo dominare dalle ideologie razziste, rendendole ancora più abiette da una catastrofica debolezza nell’uso del nostro linguaggio.
Voglio sussurrare coraggiosamente che per tutti noi ci sarebbe bisogno di una rivoluzione culturale, la quale parta proprio dal linguaggio. Infatti è proprio attraverso il linguaggio che la pubblicità e l’indottrinamento palesi ed occulti soffiano nella mongolfiera delle nostre coscienze, sballottolandola qua e là e facendoci perdere ogni barlume di umanità. Anche le parole sono mazze. Bisogna saperle usare. Ma guai a chi si dà le mazzate sulla testa!
Il sonno dell’intelletto genera mostri. Con ciò, spero che qualcuno voglia intendere nel profondo il significato del mio BUON NATALE, BONA PASCHA DE NADALE A TOTTUS, A BIANCUS E A NIEḌḌUS!!

Salvatore Dedola

Nell’immagine: l’incipit “N”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009

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