Radici e semantica delle parole sarde rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico, di storia e di cultura sarda a Biella
Chiedo venia per la lunghezza di questo documento. L’ho scritto perché i lettori capiscano quanto le lingue mediterranee (ed europee) siano apparentate e intrecciate tra loro sin dalle origini del linguaggio. Nei miei libri ho documentato scientificamente tali processi, spiegandoli con miriadi di esempi eclatanti, ai quali sinora nessuno studioso, per quanto ne so, ha opposto obiezioni di sorta.
Uno dei tanti esempi che posso addurre sugli apparentamenti originari dei nostri linguaggi è il “Sistema del Sì”, cioè il sistema dell’assenso verbale, il quale si sviluppò come procedura rituale che giurava sul Nome di Dio. Dio non può avere nome – è ovvio – tuttavia nel Mediterraneo Egli viene evocato con miriadi di termini: si tratta di aggettivali o appellativi (soltanto gli Ebrei ne hanno formulato 72).
Va da sé che in origine ogni popolo giurava su l’uno o l’altro epiteto (o appellativo) del Dio Universale, ed il risultato sono i dodici modi di dire SI radicatisi nel Mediterraneo e nel mondo slavo-germanico.
ÉMMU sassar., gallur.; emmo log., centr. ‘si, certamente’. Wagner lo deriva dal lat. immo, che in origine doveva significare ‘prova, segno, documento’ e di conseguenza, secondo Wagner, immo avrebbe significato ‘certamente, anzi, persino, senza dubbio’. Ma il lat. immo non ebbe queste referenze, al contrario venne usato nei ribaltamenti logici, nelle risposte negative, nelle obiezioni (equivale insomma all’it. ma).
Soltanto il sassar. émmu, log. émmo indica l’assenso il quale, una volta espresso, diventa duraturo e vincolante come un documento scritto (v. al riguardo l’akk. immu‘tavoletta, ricordo, nota, segno, documento’).
Invero, l’analisi di emmu ed immo richiede acribia e rilassatezza mentale, osservando che nelle lingue mediterranee è spesso accaduto a qualche popolo di distinguersi per minime differenze semantiche o lessicali apportate nei secoli ai concetti e alle voci unitarie dei primordi. Dall’akk. immu ricaviamo a posteriori un senso “laico” dell’uso, il quale invece nella terra degli Egizi manteneva l’originaria mozione di sacralità.
Come tutte le parole che oggi noi laici gestiamo nella insostenibile leggerezza della nostra ignoranza, anche emmo viene espressa quale grigia voce di assenso priva di cromatismi, e non sappiamo che il termine sassarese-logudorese ebbe l’incipit giurando su Ammon, il quale evocava una delle epifanie del Dio Unico Universale. Il nostro emmo è uguale all’eg. Åmen ‘Amon, Ammon’, pronunciato Amen dagli Israeliti nel chiudere le preghiere rivolte all’Altissimo. Un Amen poi “sequestrato” dalla Chiesa di Roma e Bisanzio per ridurlo a un ‘così sia’, ‘così avvenga’, cancellando cinicamente il legame dei popoli mediterranei col Dio universale Åmen.
Pure con la fonetica assai distante, anche l’it. sì ha stessa semantica di emmo, come anche il ted. ja, jawohl, l’ingl. yes, l’occitano oc, l’americano ok, il lat. ita, il gr. naí, il fr. oui, il russo da: in totale 13 elementi, cui poi s’adeguarono a grappolo gli avverbi d’assenso di altri popoli europei.
NI eg. ‘sì, yea, yes’, tu particella affermativa (tu significa pure ‘to speak’). In greco sì vien detto naí (vedi). Ricordo che in eg. na = ‘not’, ma anche ‘pretty, nice’, mentre nāi = ‘good, benevolent’.
NAÍ gr. ‘sì’ avverbio di assenso. Cfr. l’eg. ni ‘yes’ (ma vedi na ‘no’ avverbio di dissenso, che è la base dell’it. no: anche la negazione fu sempre fatta nominando la divinità).
Tuttavia l’eg. na significa anche ‘great, nice, pretty’; nai ‘yet, again’; nā ‘writing, order, edict’, nāi ‘good, benevolent’, Nāåu ‘a benevolent god, a foe to crocodiles, un nemico dei coccodrilli’, Nāi ‘a winged serpent with a pair of human legs’, ‘spirito-serpente dell’Inferno, il Ṭuat’.
I Greci conservarono le movenze degli Egizi, continuando a giurare inconsciamente sul Dio-Coccodrillo.
ITA lat. ‘sì’, avverbio affermativo. Anche per questo lemma vale il discorso fatto per ok e per emmu. Va da sé che ita ha base etimologica nell’eg. Åten (l. Iten) ‘Aton’, il Dio Sole, Dio dell’Universo.
SÌ avverbio it. affermativo ‘certamente, sicuramente’. Appare in tale forma nel Novellino 819 (fine XIII sec.). Si crede derivato dal lat. sic ‘così’ nella formula sic est ‘così è’, il quale semmai dovrebbe avere base etimologica nel sum. ši-, preformativo verbale affermativo, che evidenzia il rilievo di quanto già esposto; cfr. pure sum. sig ‘to be clear’, ‘chiaro’.
Tuttavia queste illazioni sono fuorvianti. L’it. sì ha la stessa semantica che attiene – mutatis mutandis – al sd. emmo, emmu, il quale è indirizzato al dio eg. Amon, ebr. Amen. Infatti l’assenso sì atteneva al sacro, alla Dea Luna, che in semitico era Sî, Sîn, Sînu. All’origine del linguaggio e della religione le affermazioni erano rivolte alla Somma Entità tutelare come testimone.
OC occitano ‘sì’. Base etimologica è l’eg. Yḥ, Yaḥ ‘Dio dell’Universo’. Attenzione!, al riguardo il lettore deve avere presenti le apofonie che in ogni epoca e in ogni nazione hanno invalso. Le apofonie registrate dagli studiosi di lingue antiche non sempre sono presentate con grafia giustta. Esempio, l’eg. Yḥ, Yaḥ è grafia di comodo. Almeno per le fasi originarie avrebbe dovuto essere Uḥ, Uaḥ, dove U nomina l’Universo, Ah ‘a cow-goddess’, ‘una forma di Hathor’, la quale era la Dea Somma. Anche la somma Iside era rappresentata da una vacca che racchiude il disco solare tra le corna. Da Uaḥ abbiamo il sd. acca, bacca ‘vacca’.
In origine U-Ah era la ‘Dea dell’Universo’, poi identificata nella Dea-Luna Yḥ, Yaḥ: leggi Uac. Soltanto così apprendiamo criticamente il trapasso da Uḥ ad oc.
OK ingl. ‘sì, certamente’. In una grammatica inglese ho letto che il termine fu adottato dalle truppe anglofone, allorché respingevano le truppe di Hitler. Per non fare intercettare via radio le frasi di assenso, si usò ok nelle risposte, imitando il sì occitano, che viene espresso con oc.
Ai combattenti anglofoni l’occitano ok filava bene (quasi un camuffamento di all key ‘tutto chiave’, il quale però è un nonsense), e fu invece assunto quale acronimo di all korrect (al posto di all correct).
In Internet c’è una narrazione diversa: o.k. nasce nell’Ottocento, dal nome del Democratic O.K. Club, la cui prima riunione avvenne nel marzo 1840, e prende il nome dalle iniziali di Old Kinderhook, il villaggio dov’era nato il candidato alle elezioni presidenziali Martin van Buren, ottavo presidente degli Stati Uniti.
Tuttavia ambo le narrazioni sono sfilacciate. Potrebbe accettarsi una terza via: che gli anglofoni abbiano assunto oc per smembrarlo in o – k, rendendolo criptico finché l’inganno durava.
In verità, occorre prendere atto criticamente che l’occitano oc, al pari del sì italiano e degli asseverativi tedesco (ja, jawohl), inglese (jah, jeah, yes), sardo (emmo, emmu), sono tutti invocazioni alla Dea Luna o al Dio Sole, ai quali si sottoponeva la conferma dell’assenso.
OUI fr. ‘sì’ avverbio affermativo. In origine era una sorta di giuramento sul dio Thot, chiamato Å dagli Egizi (leggi I). Thot (da cui il cogn. italico Toti) era dio della scrittura, della conoscenza, della magia, della saggezza, della luna, della matematica, della geometria e della misurazione del tempo. Era considerato lo scriba degli dei e il patrono degli scribi. Al nome Å venne preposto il sum. U ‘Dio dell’Universo’ e il composto U-Å fu pronunciato UI. Si ricordi anche l’eg. ui ‘two great mighty gods’.
YES ingl. ‘sì’, avverbio di assenso. Si pronuncia anche jeah, e così si apprezza meglio l’ancestrale legame con l’eg. Yḥ, Yaḥ ‘Dio dell’Universo’, il quale si rivela nel ted. ja.
Il suff. –s fu pronome personale egizio.
JA ted. avv. ‘sì’, avv. affermativo quasi identico a quelli anglosassoni: yà, yèa, yès.
Questi assertivi sono relitti della Grande Koiné Linguistica Mediterranea (Ursprache) e s’adeguano alla semantica degli altri assertivi mediterranei, riferendosi al Dio Unico Universale (Jahw e la Dea lunare Sî). Con tutta evidenza, durante la Ursprache gli assensi erano espressi chiamando a testimone il Dio Sommo o la Dea Somma (mutatis mutandis, accade ancora oggi con i musulmani, i quali ad ogni asserzione infilano il loro Inshallah ‘se Dio vuole’).
JAWOHL ted. avv. ‘sì’, ‘sissignore’. Il termine è composto dall’avv. ja (vedi) + wohl ‘bene’, ‘circa, probabilmente’. Wohl si confronta con l’ingl. well ‘bene’, got. waila avv. (ted. gut, gr. καλῶς), ags. wel(e), aat. wela, wola, asass. wel(a), wala, afris. wel, ol. wel; norr. dan. vel, sved. väl.
Base etimologica di wohl è l’eg. uåa ‘to praise, lodare’ + Rā ‘Dio sommo, Dio Sole’.
Non meravigli la distanza fonetica attuale. Gli Egizi pronunciavano la /R/, mentre molti altri popoli si differenziarono introducendo at random la liquida /L/. Wohl in origine significò ‘lodiamo Iddio’ ed è semanticamente identico – sia pure con diversa fonetica – all’ar. Inshallah ‘se Dio vuole’.
DA russo avv. ‘sì’ (colloquiale anche ará). Base etimologica l’eg. Ta ‘the primeval Earth-god’.
A sua volta, ará deriva dall’eg. åri ‘the man whose duty it was to attend to something’. Quindi ará in origine significò su per giù “servo vostro” (un modo per asserire).
Salvatore Dedola, glottologo-semitista
Nell’immagine: l’incipit, “E”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009