“S’òmine non si misurat a prammos/ L’uomo non si misura a palmi”

descrizioneDìcios e Peràula de Deus / Proverbi e Parola di Dio – immagini e nomi sardi di fiori – Laboratorio   linguistico transoceanico – appuntamento mensile tra il Circolo culturale sardo “Su Nuraghe” di Biella e il Circulo sardo “Antonio Segni” di La Plata (Argentina).

Presentazione del proverbio:

“L’uomo non si misura a palmi” suona come una sentenza a difesa di chi non è dotato di un gran fisico e, allo stesso tempo, ammonisce coloro che si lasciano abbindolare dalla presenza. Questo proverbio ben si addice ai sardi, che non hanno fama di essere alti, sebbene, anche nel passato, non tutti fossero bassi.

Presentada de su dìciu:

“S’òmine non si misurat a prammos” sonat comente una sententzia a difesa de chie no at in donu unu fisicu mannu e, a su matessi tempus, avvertit cussos chi si lassant incantare dae sa presentzia. Custu dìciu deghet a sos sardos, chi no tenent fama de esser altos, mancari, puru in su passadu, no totu esserant bascios.

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“Su Nuraghe” dona libro in omaggio a chi visita tre musei della Rete Museale Biellese

descrizioneIl Museo delle Migrazioni di Pettinengo propone una speciale iniziativa per chi visita almeno tre musei aderenti alla Rete Museale Biellese. Presentando la cartolina della Rete con i timbri, ottenuti visitando almeno tre tra i musei aderenti, sarà possibile ricevere in omaggio un libro.

Due i testi disponibili: il primo di Lelia Zangrossi è intitolato “Da terra di emigrati a terra di immigrazione – la Mosso di don Debernardi e di don Motta (1913-1968)”. Il testo fa parte di una serie di sei monografie del progetto “MoxuM – memoria e immagini” e identifica il paese di Mosso come un luogo che nel passato è stato caratterizzato da una forte emigrazione e che con il trascorrere dei decenni, diviene meta di una massiccia immigrazione interna.  Il periodo che viene preso in considerazione in questo studio, è relativo agli anni 1916-1968. Il testo presenta una veduta d’insieme della Mosso di quegli anni, sia dal punto di vista economico che sociale. Tenendo conto però che è nella seconda metà del 1800 dove si assiste alla partenza di centinaia e centinaia di mossesi per l’America e per altre destinazioni alla ricerca di un futuro migliore, fino agli anni venti in cui il fenomeno diminuisce fino a scomparire e a sostituirsi con un’immigrazione interna proveniente, inizialmente, dal Veneto. I documenti d’archivio ed altre fonti scritte hanno permesso di conoscere i nominativi, le mete, le professioni ed anche alcune storie, da proporre quali casi emblematici. Riguardo all’immigrazione veneta, che ebbe inizio negli anni venti del Novecento e continuò fino ai primi anni sessanta, è stato possibile raccogliere numerose testimonianze che hanno permesso di inquadrare meglio il fenomeno, conoscere i luoghi d’origine e la situazione sociale dei nuovi mossesi. Un apparato iconografico preciso e uno studio statistico completano l’analisi di questo spaccato di storia di un antico comune Biellese.

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Luglio 2024, una parola sarda al mese: “O” come “ORAMMALA”

descrizioneRadici e semantica delle parole sarde rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico, di storia e di cultura sarda a Biella

ORAMMALA. Tra le numerose storie di diavoli la Sardegna ne serba una secondo la quale il paese di Orùne venne edificato nel sito dove dimorava un diavolo chiamato Sorammàla. Egli non disturbava gli abitanti, anzi aveva un rapporto quasi da nume tutelare, per quanto faustiano, nel senso che era così garbato da non presentarsi mai, se non dopo essere chiamato ad alta voce e ripetutamente, ed i suoi patti erano come da protocollo: il petente doveva vendergli l’anima in cambio della concessione.

Tutto sommato, l’etimologia popolare che identifica Sorammala con s’ora mala ‘la mala sorte’, è poco congrua col nome di un diavolo che si fa i fatti propri (come peraltro tutti i diavoli della Sardegna) e che viene soltanto disturbato da gente che mira esclusivamente all’arricchimento. Penso che il termine, previamente disaggregato da S- o S’ inteso come articolo determinativo, corrisponda a un composto sardiano, basato sul sumerico uru ‘sito, luogo’ dell’insediamento (vedi accadico ūru ‘city’) + sumerico ma ‘bruciare’ + lu ‘divampare’.

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Uno sguardo sul creato: Crocothemis erythraea (Frecciarossa)

descrizioneImmagini e testi di “Su Calendariu 2024” del Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe” ci accompagnano nello scorrere dei mesi, con sensibilità sociale e naturalistica attraverso didascalie di Lucio Bordignon e di due studenti universitari: Martina Cadin e Leonardo Siddi. Insieme hanno fornito testi e foto, a completamento delle immagini di Walter Caterina, anch’egli valente fotografo naturalista.

Il declino delle libellule.

Crocothemis erythraea (Frecciarossa). Se il Cardinale padano è il simbolo del declino delle libellule, il Frecciarossa è il suo alter ego: una libellula molto adattabile e in forte espansione. Questo esemplare, molto mobile, si incontra in quasi tutti gli ambienti di acqua dolce e salmastra, anche quelli più disturbati dall’uomo, purché ci siano acque calme: infatti, non vive presso gli ambienti di acqua corrente.

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Musei di Pettinengo in festa, alla scoperta delle “nostre” radici

descrizione3 e 4 agosto, due giorni di eventi con i tre Musei di Pettinengo – “Turismo delle radici”, Anno Europeo delle Radici.

Sabato 3 agosto, ore 9:30, Convegno “A sonu de trunfa, al suono della ribeba, al suono dello scacciapensieri”, a tema migrazione (ingresso libero). L’incontro si svolgerà a Canton Gurgo, in via Duca D’Aosta, nella chiesa intitolata a San Grato d’Aosta e Sant’Eusebio da Cagliari, gioiello del Barocco piemontese, restaurato dal Circolo sardo di Biella e donato alla comunità in collaborazione con le associazioni di Pettinengo.

Lo scacciapensieri (ribeba in piemontese, trunfa in sardo), è strumento musicale diffuso in tutto il mondo, conosciuto con più di 1300 nomi. Divenuto emblema di emigrazione e di identità locali, è caratterizzato dai materiali diversi, impiegati per la sua costruzione: bambù in Oriente, bronzo e ottone in India, ferro e acciaio in Europa. In Africa, è stato introdotto con la colonizzazione europea. Fino ai primi del Novecento, oltre un milione e mezzo di ribebe venivano prodotte in Valsesia per essere esportate in tutto il mondo. A Milano veniva stampato anche un giornale, “La Ribeba, gazzetta delle colonie valsesiane”.

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