Bonas Pascas, auguri natalizi da Su Nuraghe con agrifoglio/olostru

Bona Pasca de Nadale 2016L’Ilex aquifolium, specie della famiglia delle Aquifoliaceæ, il cui nome italiano è agrifoglio, conosciuto in Sardegna come olostriu/olostru, arangiu burdu/aresti. L’immagine della pianta illustra il cartoncino di Auguri di Bonas Pascas, Bona Pasca de Nadale, a Largos Annos, del Circolo Culturale Sardo Su Nuraghe di Biella.

L’agrifoglio occupa un areale molto vasto, dall’Europa centro meridionale alle regioni settentrionali. È presente nel Vicino Oriente e nell’Africa mediterranea, dalla Turchia alle località montuose del Marocco.
La pianta ha portamento maestoso e, a volte, può superare i 10 metri di altezza. Ha chioma densa di forma conico piramidale, tronco diritto e affusolato da cui si dipartono rami con foglie dal margine spinoso dentato in quelli più bassi e nei giovani polloni, fino a diventare intere nei rami più alti e in quelli apicali. È facilmente riconoscibile dai frutti: piccole drupe di colore rosso-scarlatto che custodiscono semi bruni, striati di bianco.
Lo scrittore latino Plinio afferma che «piantare un alberello di agrifoglio nella propria casa di città o di campagna, fa stornare i sortilegi», usanza ereditata nei giardini del tempo presente. Risalirebbe a Tarquinio Prisco, re etrusco di Roma, l’affermazione secondo la quale «gli alberi sotto la protezione degli Dèi infernali, invocati per allontanare i mali, sono detti di cattivo augurio», perché, «al pari di agrifoglio, pero selvatico, pungitopo, lampone e rovi sono impiegati per bruciare i prodigi e i presagi funesti».Continua a leggere →

A tavola con Su Nuraghe aspettando Natale

volontari di su nuraghe in cucina

Nei primi giorni di dicembre nelle cucine di Su Nuraghe è stato riacceso il grande forno a cupola per una serata conviviale speciale con al centro la pizza, piatto tipico mediterraneo di cui le più note e famose sono quelle partenopee.
PIZZA, PITZA, PITTA, PITA. È parola sarda e mediterranea. In Planargia si nomina pita un pane di forma allungata. In altre aree del centro-Sardegna il nome è pittza.
La pitta non deriverebbe dal nap. pizza, poiché lo stesso pizza è un termine mediterraneo coevo a quello sardo e alla pitta ebraico-araba. Il vocabolo pizza in quanto ‘focaccia’ apparve già nel 997 nel latino medievale di Gaeta (DELI).
“In Sardegna accanto a pita, pittza – afferma Salvatore Dedola – abbiamo, con la stessa origine, pidza ‘piega, crespa’, al pari di pidzu, piza ‘sfoglia’, ‘strato, pellicola’, ‘velatura’, ‘sigillo di lumaca, velo di latte serenato, di birra fermentata’, campid. pillu. E con ciò siamo giunti a collegarci con altri nomi sardi di pane, quale pillonca, pizéri, pizzuríus. E mentre pillonca nell’antichità era un pane carasatu d’orzo a sfoglia, oggi la forma fonetica di base (pigg- pidz-, pill-) è estesa ad indicare vari tipi di pane di frumento molle, talora grosso ma molto più spesso schiacciato (tipo ippianada de Ottiéri), nonchè su pane ‘e cicci (una varietà di tzicchi)”.
Al forno l’abile pizzaiolo Pasqualino Senes che con maestria ha tenuto testa alle richieste dei commensali, coadiuvato in cucina e ai tavoli dallo staff di volontari, tra cui, Mario, Domenico, Maria, Costanza, due Carlo, Anna e Caterina, ritratti nella foto, con al centro Pasqualino.

Giovanni Usai

50.000 nodi per Oropa dalle Donne del filet di Su Nuraghe

Tovaglia donata dalle Donne del Filet al santuario di Oropa

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Giovedì 8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione, molti fedeli sono saliti ad Oropa per pregare ed onorare la Vergine Santissima. La Messa delle 16.30 nella Basilica antica, davanti alla statua della Madonna Nera era quindi particolarmente affollata, ma vi era anche una presenza significativa: in prima fila un gruppo di “donne del filet” del Circolo Su Nuraghe, accompagnato dal presidente Battista Saiu e da un gruppo di soci sparso tra la gente. Durante quella S. Messa si usava per la prima volta la tovaglia di lino con il pizzo a filet realizzata dalle donne del corso di filet del Circolo.Continua a leggere →

Nessun uomo è un’isola, ma un pezzo del Continente

Biella, Enzo Espa, Franco Borri Brunetto, Franco Piras, Roberto Perinu, Gonario Manconi, Tullio Locci.

In ricordo di Enzo Espa (Nuoro, 3 marzo 1919 – Sassari, 14 dicembre 2014)

“Nessun uomo è un’isola, inteso in se stesso/ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra./Se una zolla viene portata via dal mare, la Terra ne è diminuita/come se un promontorio le mancasse/o una dimora amica o la sua stessa casa./Ogni morte d’uomo mi diminuisce/perché faccio parte dell’umanità”.
Così scriveva nel 1500 John Donne, scrittore inglese cattolico e di grande sensibilità. Sono trascorsi ben sei secoli e queste parole suonano più attuali che mai e non solo per tutti coloro che giornalmente lasciano questo nostro mondo ma anche e soprattutto quando si tratta di uomini che nel mondo hanno tracciato sentieri.
Fra i tanti, uno in particolare cattura l’attenzione per il suo inconfondibile modo di essere e di fare, professore, uomo e letterato senza sbavature, senza spigoli, in tutt’uno di grande pathos e signorilità. Come professore, padrone incondizionato della sua materia che esprimeva attraverso grandi capacità comunicative; come uomo, interamente votato a far parte di quella umanità di cui parla John Donne; come letterato, scrittore, giornalista, completamente teso a raccontare la sua – la nostra – terra, le tradizioni, la storia con la saggezza di chi ama davvero e trova in ogni costume o pratica il lato migliore. Laureatosi a Roma, sotto la guida del grande Natalino Sapegno, ne segue quasi le orme, se pur – come tutti sappiamo – il talento non sia così facile da inculcare ma solo da promuovere, ed è ciò che Sapegno ha fatto.Continua a leggere →