Una radice condivisa

La Sartiglia di Oristano

A cura di Battista Saiu Pinna.
Collana Ammentos, n° 11.
Opera pubblicata nel mese di giugno 2007.


Copertina


Il vero viaggio di scoperta
non consiste nel cercare nuove terre,
ma nell’avere nuovi occhi
“.
(Marcel Proust)

Innumerevoli simboli appaiono quotidianamente dinnanzi a noi. Passano spesso inosservati. Sono segni pregnanti ma discreti di una cultura antica, che racchiude significati e significanti nati in un passato tramandato a noi nei secoli attraverso la saggezza popolare.
La luna e il sole si rincorrono, si abbracciano, si allontanano influenzando semine e raccolti, climi e atmosfere, sentimenti umani e valori divini, cibo e spirito, in un infinito arco che unisce la terra al cielo.
In molte feste popolari appaiono animali e vegetali che simboleggiano archetipi di sapienza astronomica e filosofica. Noi li guardiamo, li osserviamo, cerchiamo di carpirne i segreti reconditi.
Il lavoro qui presentato fa parte di una ricerca più ampia e articolata sulle tradizioni popolari della Sardegna e del Piemonte: territori diversi e distanti, ma con significativi elementi comuni, anche se i rapporti regolari tra le due terre possono esser fatti risalire solo all’inizio del Settecento, dopo il passaggio del governo dell’Isola dalla Corona di Spagna alla Casa Savoia.
L’occasione è l’arrivo a Biella della “Sartigliedda“, nella versione offerta dal Giara Club di Oristano, per i festeggiamenti del trentesimo anno di fondazione del Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe“.
La festa annuale della Sartiglia inizia il 2 di febbraio, nel momento in cui, come ben sanno gli etnologi, la luna di febbraio indica, nel mondo della tradizione, l’andamento dell’annata agraria.
Quella del 2 di febbraio è detta “la luna dell’orso“, poiché è a questo animale mitico della rinascita e del ritorno della nuova stagione che è affidato il compito di predire le sorti del nuovo anno agricolo.
Mio preciso intento è quello di sottolineare il collegamento tra la figura dell’orso lunare, parte, nel continente europeo, di un sistema calendariale compatto ed omogeneo, e gli altri orsi di alcune chiese di Sardegna, dalla Cattedrale di Cagliari al Duomo di Oristano, con certe maschere teriomorfe, che animano i carnevali sardi, tradizionalmente indicate con la denominazione complessiva di s’Urzu.
L’orso, del resto, è animale emblematico, variamente presente nell’araldica civica della Città di Biella, della sua Provincia e di diversi Comuni che di essa fanno parte.
Per quanto breve, la narrazione della Sartiglia, della sua origine, della sua storia e del suo manifestarsi in oggetti, riti e simboli vuole sottolineare taluni aspetti del folklore dell’Isola, legati a sacrifici umani, animali e vegetali, e comuni a molti carnevali.
Lo si veda per quello che vuole essere: un tentativo di cogliere se queste similitudini con la Terraferma sono semplici assonanze oppure elementi solidi, che possono rimandare a comuni radici condivise.

Battista Saiu


Che la comunità sarda di Biella sia una realtà, un’istituzione di particolare interesse, un importante laboratorio sociale e culturale è cosa evidente anche solo per chi ne osserva la costante presenza attiva sul territorio. Particolarmente importante risulta poi agli occhi dell’antropologo che studia i processi di contaminazione, i rapporti multietnici, le forme e le pratiche rituali messe in atto da questa comunità.
Ho avuto la possibilità, da più di un lustro, di seguire l’impegno dell’associazione “Su Nuraghe” dialogando con l’amico e studioso di tradizioni popolari Battista Saiu che ne è il presidente. L’intensa attività della comunità sarda sul territorio, il continuo incontro con la terra d’origine, la ricerca di legare destini apparentemente lontani tra di loro, tra il popolo delle montagne biellesi e quello dell’isola sarda, con esiti, molte volte inaspettatamente positivi, era un fenomeno che mi sorprendeva e, nel contempo mi arricchiva antropologicamente. In questo associazionismo etnico, in questa comunità locale che trasferisce in continente i suoi valori, i suoi stili di vita, vedevo il sapiente uso e riuso di un prezioso patrimonio materiale e immateriale che, da un lato, serve ai sardi emigrati per non recidere le loro radici, per non disperdere la loro memoria collettiva e, dall’altro, diventa una risorsa per la più vasta e composita comunità biellese della postmodernità.
Oggi questo complesso sistema culturale che coltiva e sviluppa fecondi processi identitari e d’integrazione organizza in terra biellese la festa della Sartiglia, precisamente la “Sartigliedda“, una versione praticata recentemente dagli adolescenti del luogo, quasi una neotradizione che si è integrata con quella canonica.
Da Oristano, dove ogni anno al passaggio tra l’inverno e la primavera si pratica la festa, giungono cavalli e cavalieri, che il 17 giugno prossimo calpesteranno al galoppo la terra appositamente riportata sulla via principale di Biella. Le autorità civili, militari e religiose della città assumeranno i ruoli e le funzioni cerimoniali che svolgono le autorità di Oristano quando, il due di febbraio, i cavalieri mascherati si confrontano nel torneo dai profondi significati folklorici.
La Sartiglia è una pratica festiva ampiamente documentata e analizzata perché è, senz’altro, un emblematico momento del calendario rituale tradizionale della Sardegna.
Battista Saiu fornisce, in questo sintetico e opportuno saggio, un’attenta descrizione e lettura etnografica che lo porta a collegare il rito del due febbraio di Oristano ai Carnevali e agli orsi mitici che ritrova nella sua terra d’origine. Ma a questa ricerca giunge dopo aver lavorato sulle mitologie e sui bestiari carnevaleschi del Piemonte e soprattutto del Biellese. Un viaggio alla rovescia, come d’altra parte è alla rovescia il tempo del Carnevale d’impianto tradizionale, che lo aiuta a ritrovare più compiutamente le sue radici e le ragioni culturali e mitiche per cui si può essere cittadini di più terre perché, a ben guardare, gli indirizzi di senso che leggiamo nei calendari rituali sembrano unire più che dividere.
La Sartiglia che, per un breve periodo, fermerà il tempo e lo spazio della città di Biella per dare vita a ritmi orali e gestuali che apparentemente possono apparire per alcuni versi intraducibili, non cogenti al territorio, non rappresenta un ritmo etnico assordante, che non appartiene a questo tratto dell’arco alpino, perché fa parte integrante dei sostrati mitici che generano il locale paesaggio della tradizione.
Un progetto, dunque, impegnativo, che richiede coraggio e che sottolinea anche la generosità di una terra, il Biellese, che nelle culture degli immigrati sa ritrovare e recuperare affettivamente le tracce, i segni dei suoi figli che per lungo tempo hanno cercato appaesamenti non sempre facilmente concessi.

Piercarlo Grimaldi,
Università degli Studi del Piemonte Orientale


Gli eventi folcloristici celebrano la necessità di aggregazione che orienta le persone a ritrovarsi per condividere momenti lieti che hanno il sapore della propria storia, dei propri luoghi, delle proprie famiglie.
Il folclore testimonia il desiderio intimamente umano di raccontare le proprie origini, di tramandare gesta e vicende che hanno segnato la storia di un popolo e lo hanno reso unico.
Avere la Sartiglia a Biella è un privilegio che ci regalerà istanti di tradizione e folclore innestati sulla storia di un popolo, sulle sue convinzioni, sui suoi ideali.
Il semidio androgino della Sartiglia, con il viso completamente mascherato e il costume caratteristico, apre le esibizioni acrobatiche della giostra equestre per la gara all’anello e, con i suoi gesti benaugurali, pare assumere una funzione particolare, quasi alla stregua di calamita positiva o di lasciapassare per le azioni più efficaci.
Ma l’efficacia dell’agire trova la sua via elettiva nella capacità di realizzare buoni rapporti tra ciò che si vede, le azioni, e ciò che non si vede, le idee propulsive. Il Biellese è una provincia ricca di multiculturalità, un tessuto sociale a trama policroma, che sa riconoscere, accogliere e valorizzare le diverse componenti aprendosi al dialogo costruttivo e agli scambi umani dell’integrazione.
È forse racchiuso qui il segreto della sua tenacia, di quella forza che smuove le montagne e che ci rende facile il dialogo culturale con i sardi.

Sergio Scaramal,
Presidente Provincia di Biella


Ospitare la Sartiglia a Biella mi onora: questa occasione d’incontro e di scambio culturale rafforza l’amicizia con i sardi, gente operosa che da sempre ha trovato posto nel cuore dei Biellesi, con un dialogo continuo, attivo, aperto tanti anni fa e consolidato da personaggi che ebbero con l’isola un rapporto privilegiato, quali Alberto Ferrero Della Marmora, Filippo Ferrero Fieschi della Marmora, Vittorio Ludovico de Hallor de Hayes, Quintino Sella, Vittorio Besso, Vittorio ed Erminio Sella, Amerigo Boggio Viola.
La ricerca storica sulla Sartiglia di Oristano condotta da Battista Saiu, infaticabile Presidente del Circolo Culturale “Su Nuraghe” di Biella, è un’accurata indagine che celebra e valorizza le origini cinquecentesche della manifestazione.
Gli aneddoti desunti dalle cronache epocali svelano quei simboli caratteristici che ne sublimano i risvolti folcloristici e individuano quegli elementi culturali che accomunano la nostra gente alla gente di Sardegna.Come l’orso, animale mitico, identificato come divinità precristiana, in grado di indicare agli uomini l’inizio della nuova stagione e la fine dell’inverno.
Il fatto che nel folclore rurale europeo l’orso abbia la funzione di marcatore del tempo non fa che renderlo a nostri occhi ancora più nobile e famigliare, alla luce del nuovo e potenziato valore simbolico che assume con la sua presenza nell’emblema cittadino, unitamente al faggio.
Vi è poi la giostra equestre, descritta con i dettagli della corsa all’anello per divinare la sorte attraverso segni propizi, dando il senso della forza e dell’energia con cui l’uomo, da sempre, e oltre i confini del tangibile, tende a interrogarsi sul mondo ultraterreno, desideroso di trovare risposte, consigli e guide valide a sostegno delle proprie azioni.Celebrare la Sartiglia nella nostra città racchiude il segreto dell’accoglienza biellese e del rispetto per quella saggezza antica che affonda le sue radici in terra europea, unendo i popoli oltre i confini di regioni e nazioni.

Vittorio Barazzotto,
Sindaco Città di Biella


Camminando per le vie cittadine è diventato ormai frequente incontrare persone che lasciano trasparire dai tratti somatici, o dall’accento nel parlare, origini non locali. Portano sul loro viso i segni della speranza in un futuro sereno e dei ricordi per un passato che ha radici in un paese lontano dalla nostra città, spesso lontanissimo anche dall’Europa. Portano serbati nel loro cuore ideali e valori che appartengono a una cultura popolare con radici profonde, non meno significativa seppur parallela, alla cultura convenzionale.
Attraverso antiche ritualità trasmesse da una generazione all’altra durante le feste popolari, sono stati posti i semi di una saggezza autentica che ha il potere di far germogliare quella solida formazione personale orientata a elevare l’essere terreno verso il cielo, alla ricerca dell’unione tra materia e spirito. Nella vestizione del semidio androgino la Sartiglia esprime inequivocabilmente questo momento sacro di tensione dell’uomo verso l’invisibile. I gesti delle massajeddas, linguaggio in codice solo a loro noto, celebrano il potere creativo dato da Dio alla donna, affinché Egli possa vivificare gli elementi materiali trasmutandoli in un essere spirituale. Su componidori porta in sé questo segreto divino e lo manifesta attraverso la sua sospensione tra terra e cielo.
Ringrazio Battista Saiu, Presidente del Circolo Culturale Su Nuraghe di cui apprezzo l’instancabile e appassionato impegno, e la comunità sarda tutta, attivamente presente nel Territorio Biellese da più di trent’anni, per farci dono della Sartiglia, segno tangibile di una consolidata integrazione con la gente biellese e ineguagliabile occasione culturale di riflessione, oltre che di svago.

Nicoletta Favero,
Assessore alle Politiche Sociali Abitative e Pari Opportunità Città di Biella


Storia, cultura, tradizione, religiosità, spettacolo e sport. La Sartiglia di Oristano è un emozionante concentrato di questi elementi, ma è anche, in primo luogo, poesia. Poesia fatta immagine, che si concretizza davanti agli occhi degli spettatori, ricca di significati, improvvisa e sorprendente.
Nella Sartiglia convivono elementi di tradizione e cultura tramandati da centinaia d’anni, riti pagani contaminati da cerimoniali di origine cristiana, rituali legati alla ciclicità delle stagioni. Il protagonista assoluto della manifestazione, Su Componidori, è il tramite divino che agisce per la propiziazione del raccolto, un eroe forte, puro e coraggioso, un semidio sceso tra i mortali per donare loro buona fortuna e cacciare gli spiriti maligni.
Non è dunque un caso che questa antichissima giostra a cavallo, le cui origini risalgono al medioevo, sia giunta fino ai giorni nostri. Nei suoi valori simbolici e rituali la Sartiglia è un bellissimo esempio di tradizione folklorica che sopravvive al passare del tempo perché conserva un messaggio vivo, attuale, capace di coinvolgere anche le nuove generazioni.
In virtù di questa manifestazione la città di Biella sarà dunque, per un giorno, capitale della cultura sarda. Se consideriamo che i cittadini di origine sarda residenti in provincia sono più di 6.000 e oltre 50.000 quelli presenti su tutto il territorio regionale, l’emozione e l’aspettativa non possono che unirsi alla legittima soddisfazione e all’orgoglio per la possibilità di ospitare l’evento.

Rinaldo Chiola,
Assessore allo Sport Città di Biella


Inviti graditissimi quelli di Battista Saiu: la prefazione ad un suo libro; fissare per un po’ di tempo la mente su di una terra che mi è molto cara; aderire fin d’ora ad un avvenimento straordinario che intende coinvolgere la Sardegna, “un continente a sè”, e Biella “una piccola patria” divenuta da quasi mezzo secolo la “casa comune” di genti un tempo lontane che rivelano e ritrovano, con rinnovato affetto, vicende, rapporti, intese e sintonie entrate, non d’impeto, ma con ragionata e consapevole attenzione, ad arricchire lo spazio e il tempo che condividiamo.
Come, mio caro, Voi qui senza essere obbligato?“.
Ad accogliere così Alberto Lamarmora a Palazzo Viceregio, nel cuore della Cagliari antica, fu il Viceré di Sardegna, Cavalier Thaon di Revel, Conte di Pratolongo, nel 1859 quando ormai l’unità d’Italia era alle porte. Ma allora, e per più di un secolo ancora, un “soggiorno” nell’isola era considerato una tra le più severe punizioni inflitte a chi, militare o funzionario del Regno, si rendeva colpevole di gravi mancanze nei doveri d’ufficio. A quarant’anni dal suo primo “viaggio” non proprio di piacere, la domanda, non priva di stupore, del Viceré poteva essere fuori luogo ma l’anziano generale era rimasto così affascinato dall’aspra e selvaggia bellezza della Sardegna che aveva deciso di tornarci nuovamente al termine di una lunga e brillante carriera – restandoci tredici anni – per immergersi nella storia e nei sapori di quella terra, per coglierne il respiro, per riscrivere il suo primo “voyage“, edito in francese, adeguandolo a quanto l’avvento “dei piroscafi e del telegrafo sottomarino” vi aveva apportato di nuovo “avvicinando l’isola al continente“.
In due volumi il Viaggio in Sardegna e l’Itinerario che abbracciano mezzo secolo di storia, con stile immediato, quasi un contemporaneo diario fotografico per viaggiatori, segnato dalle esperienze personali e dalla conoscenza di luoghi e circostanze, Lamarmora descrive in veste illustrata e colorata, costumi, paesaggi, città e villaggi, ricordi di epoche lontane, abitudini e vita quotidiana per far conoscere e conservare quanto la natura e le popolazioni isolane hanno saputo, nel naturale mutamento dell’ordine delle cose, far giungere, oggi, fino a noi.
Mi sono soffermato, volutamente, su questa figura biellese che ben interpreta lo spirito pionieristico, che fortunatamente ancora sopravvive fra le nostre balze, perché ritengo di cogliere nel lavoro di Battista, biellese acquisito e sicuramente contaminato, ma, come il generale, anche altrettanto ansioso di rituffarsi, lui sì, nelle sue origini, il desiderio di riscoprire e ritessere quel “filo ideale” che da sempre accomuna genti chiamate a convivere con una natura dominante e avara, bella e difficile, ma pure capace di forgiare uomini abituati a non sottrarsi alle sfide dei tempi ma a superarle per ottimizzarle al collettivo interesse.
Penso nasca così “La Sartiglia di Oristano, alle radici del folclore europeo“, libro che richiamandosi alle più arcaiche tradizioni popolari – le sole dove lo stretto connubio tra sacro e profano riesce a trasmettere tutte le contrastanti emozioni di una festa di popolo – fa vivere e godere del rito propiziatorio di una delle più celebri “giostre equestri”, non solo italiche ma europee, dove ogni stella d’argento infilzata dalla spada o dalla lancia reclama un raccolto abbondante per la annata che sta per iniziare.
Il prossimo 17 giugno i cavallini della Giara di Gesturi – la “Baraggia” spartiacque tra il Campidano e la Barbagia – e i loro cavalieri lanciati al galoppo porteranno con i loro ricchi e colorati costumi, le loro grida di incitamento e la loro abilità uno spicchio di mondo tipicamente mediterraneo nella verde cornice alpina di Biella.
Anche l’Orso della fontana dei “Giardini”, come il suo simile esposto nella Cattedrale di Oristano, forse sentirà un brivido al loro passaggio, un fremito che è un augurio e una certezza di rinascita per terre e comunità che auspico possano ritrovare nella “festa di tutti”, il messaggio autentico di antichi rituali e tradizioni che la nostra “cultura”, spesso stravolta dalla modernità e dal consumismo, ha rimosso senza saper offrire o valorizzare altrettanto profonde ed entusiasmanti alternative di sostegno.
Con i migliori auguri di successo.

Gianluca Susta,
Deputato al Parlamento Europeo