Febbraio, una parola sarda al mese: V come VETTA

incipit V, in Giampaolo Mele, Die ac NocteVETTA sassarese ‘nastro, nastrino, fettuccia ornamentale’ (anche in logudorese). Pompeo Calvia: Li Candaléri fàrani in piàtza / cu li vétti di rasu trimuréndi… ‘I Candelieri scendono nella via grande con i nastri di raso tremolanti…’. Base etimologica nell’akk. betatu (plur. tantum di un *betu, evidentemente sopravvissuto in Sardegna), che fu una ‘decorazione usata sui vestiti’; in accadico ha pure il significato di ‘oggetti di pelle’ (che sono opere d’artigianato).
Con questa etimologia togliamo dall’imbarazzo il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, che annaspa nell’impossibilità di offrire un etimo dignitoso alla parola italiana fetta ‘parte di cibo sottilmente separata di taglio dal corpo principale’. Infatti, già da epoca arcaica, le fette di cibo furono assimilate alle fette ottenute artigianalmente da altri oggetti, ad iniziare dalle pelli sottili, utilizzate per vestiti, scarpe, cosmesi.

Salvatore Dedola,
glottologo-semitista

Nell’immagine: l’incipit “V”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009

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