“In dogni peràula chentza nada” – In ogni parola non detta

is paras

Prossimo appuntamento martedì 28 luglio, ore 21:00 – videoconferenza con La Plata (Argentina) su piattaforma Zoom – Laboratorio Linguistico, “Eya, emmo, sì: là dove il sì suona, s’emmo e s’eya cantant”, organizzato dal Circolo Culturale Sardo di Biella in collaborazione con il Circolo sardo “Antonio Segni” di La Plata (Argentina), per imparare a leggere e scrivere in lingua materna.

Un’amara riflessione archeologica, e insieme “identitaria”, sulla Sardegna attuale, osservata durante i miei vari giri con la moto, in lungo e in largo.
Abbiamo avuto, nei millenni andati, durante quella che è detta “Età nuragica”, il glorioso status di una società organizzata, prospera, forte, e sicuramente solida ed unita, molto più di oggi.
In questi versi non ci son polemiche, recriminazioni né teorie storico-archeologiche, che lasciamo agli addetti ai lavori; ci sono soltanto dubbi, tormenti e domande sul chi, e sul cosa, siamo stati davvero.
Io ritengo non pensabile che un popolo che abbia riempito, in ogni angolo, un’isola così grande, di strutture in pietra assolutamente imponenti, numerose (sappiamo bene che le stime attuali parlano di più di 7.000 Nuraghes censiti) ed uguali a se stesse, per l’identica tecnica costruttiva e per forma e tipologia, come se fossero il prodotto di una “matrice”, di un progetto unico (con ben poche varianti da un capo all’altro dell’isola, se non quelle legate alle forme primordiali, ossia i cosiddetti “nuraghi a corridoio”) non fosse un popolo appartenente ad una civiltà molto ben organizzata. A me personalmente, viene in mente qualcosa che possa somigliare ad un Impero, tramandatosi per generazioni; come quello Egizio, solo per fare un esempio.
Il problema è che le notizie possiamo soltanto intuirle, oppure cercare di decifrarle dai resti archeologici, perché, sebbene il livello di cultura e di progresso dei nostri avi nuragici, fosse indiscutibilmente elevato, essi non hanno lasciato tracce di scrittura. Scrittura nel senso letterale della parola.
Chi eravamo? Siamo stati “gente di terra”, cioè agricoltori e pastori, arroccati su questo grande scoglio nel mezzo del Mediterraneo, con pochi contatti col mondo esterno, se non quelli delle incursioni e invasioni di altri popoli che approdavano sui nostri lidi, o siamo stati davvero (anche) un popolo guerriero e di navigatori, cioè gli Sherdana (questa è la pronuncia più verosimilmente corretta, rispetto alla più diffusa “Shardana”, secondo le ultime teorie linguistico/storiche) facenti parte – anche sulla base di attestate e antiche fonti egizie – della coalizione dei cosiddetti “Popoli del mare”?
Qualcosa si è rotto e mancano delle parti nella ricostruzione della nostra Storia o, perlomeno, questo è lo stato delle nostre conoscenze attuali, perché non bisogna mai dimenticare che l’Archeologia, così come le altre Scienze, d’altronde, è in continua evoluzione e che ogni nuova scoperta può ribaltare, all’improvviso, tutte le teorie assodate sino a quel momento.
Magari, e c’è da sperarlo davvero, un giorno si risolverà ogni dubbio, prima che l’oblio prenda ulteriore sopravvento. Prima che la nostra memoria si perda completamente, come una storia non raccontata, tra le parole dimenticate… tra le parole non dette.

Roberto Canu


In dogni peràula chentza nada

Girende sa Sardigna cun sa moto,
pro girigheddos o bellos viaggios
sempr’isperiènde isto, a cantu annotto,
buscos, montes e dèchidos paesaggios.
E frimmende in sa mente, cantu potto,
nuraghes e nuràgicos villaggios.

Turres chi a su tempus parant fronte
chi no ant coppiòlas in su mundu,
sunt inoghe, in dogni ‘adde e monte,
ue sos mistèrios che falant a fundu.
Ue su mare est tottue s’orizzonte
e nos inghìriat che unu ballu tundu.

Pòbulu ‘e terra o Sherdana ‘e su mare?
Chie fit sa misteriòsa zente mia,
chi at postu custas pedras subra ‘e pare?
Si unu meràculu fagher podìa,
pro su nodu ‘e s’Istòria isvoligare,
torrada a custa terra nde l’aìa.

Gherreris de su Brunzu, babbos, giàjos,
ue che sezis como? Nademilu!
Sos tempos ant catzadu fogu e ràjos
e segadu, ‘e su connottu, ant su filu,
lassende paristòrias e ammàjos
lezeros che chijìna de pabilu.

Chie fimus? E itte semus diventados?
Fimus zenìa forte, rispettada.
Oe sos nuraghes, tottu iscoveccados,
a bias parent pedra ammuntonada.
Sa malasorte ‘e sos irmentigados
est in dogni peràula chentza nada.

Roberto Canu – Otieri – 22 de trìulas de su 2020

In ogni parola non detta
(Traduzione libera)

Nel girare la Sardegna con la moto
per piccoli giri o per bei viaggi
osservo il panorama, a perdita d’occhio,
di boschi, monti e paesaggi incantevoli.
Imprimendo nella mente, il più possibile,
ogni nuraghe e villaggio nuragico.

Torri che si oppongono al tempo
e che non hanno uguali al mondo,
stanno in questa terra, in ogni monte e valle,
dove in misteri si fanno profondi.
Dove, ovunque, è il mare a far da orizzonte
e ci circonda come in un “ballo tondo”.

Un popolo di agricoltori o gli Sherdana del mare?
Chi era la misteriosa mia gente,
che ha posato queste pietre, una sull’altra?
Se potessi fare un miracolo,
per sciogliere, così, il nodo della Storia,
l’avrei riportata su questa terra.

Guerrieri dell’Età del Bronzo, padri, antenati,
dove siete adesso? Ditemelo!
I secoli hanno sputato fuoco e fulmini
ed hanno reciso il filo della conoscenza,
lasciandoci leggende e fascinazioni,
leggere come la cenere della carta.

Chi fummo? E cosa siamo diventati?
Eravamo una stirpe forte, rispettata.
Oggi i nuraghi, tutti scoperchiati e mozzi,
a volte sembrano soltanto mucchi di pietre.
La sfortuna dei dimenticati
sta in ogni parola non detta.

Roberto Canu – Ozieri – 22 luglio 2020

Una curiosità per chi fosse interessato. La rima della prima sestina, tra “motoannottopotto”, è una cosiddetta “quasi rima” o “rima imperfetta”, quella cioè formata da parole con vocali toniche e finali, uguali, ma con consonanti (o numero di consonanti) diverse. Questo, stando alle regole di scrittura della Lingua Italiana, relativamente all’uso delle doppie e della sillabazione. Secondo i linguisti che hanno recentemente codificato la grafia della Lingua Sarda, invece, diventerebbe graficamente una “rima perfetta”, perché loro hanno stabilito che molte doppie (che noi invece, paradossalmente, nel parlare, calchiamo bene ovunque… e infatti la parola “moto” la pronunciamo con due “t”) siano graficamente abolite, sebbene nella pronuncia rimangano.
Perciò, secondo tali loro indicazioni, “annotto” e “potto”, sarebbero da scrivere : “annoto” e “poto”, con una sola “t” – trasformando così, anche visivamente e graficamente (e non solo acusticamente) la rima, da “imperfetta” a “perfetta”. Personalmente, anche perché influenzato dalle regole sulle doppie apprese a scuola, per l’Italiano, sono propenso ad usarle, graficamente, dove ritengo siano normali. Non me ne vogliano i linguisti e i codificatori della Lingua Sarda.

Roberto Canu


Nell’immagine: “Is Paras”, “I Frati”, nuraghe che si trova ad Ìsili, nel Sarcidano, nel Centro-Sud della Sardegna. Risalirebbe al XV secolo a.C. ed è costruito con blocchi di calcare bianco. Originariamente monotorre ed in sèguito diventato trilobato, è circondato da un villaggio di capanne, ancora tutto da scavare, come moltissimi dei siti archeologici sardi.
Il “Gigante bianco del Sarcidano”. Questo è il soprannome del nuraghe “Is Paras”, dovuto al fatto che la volta interna – la cosiddetta “tholos” – della torre principale, con i suoi 11,80 metri, sia la più alta di tutti gli altri nuraghi della Sardegna e superata, per altezza, in quel periodo, solo dalla tomba di Agamennone, secondo il parere degli archeologi.
Il complesso – il cui nome è dovuto al terreno su cui si trova, che nel 1600 era divenuto proprietà di un monastero di Padri Scolopi – si trova nell’immediata periferia del paese e non è fortunatamente abbandonato, ma è visitabile e ben tenuto, grazie alla presenza di guide turistiche. (Fotografia di Roberto Canu, 2018).

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