Marzo, una parola sarda al mese: T come TZÁNTARA

incipit T in Giampaolo Mele Die ac NocteRadici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico, di storia e di cultura sarda a Biella

TZÁNTARA nel nord (compresa la Gallura: ciàntara) significa ‘scandalo, vergogna, causa di scherno, ludibrio, smacco, figura ridicola’. Log. tùe sèse una tzántara ‘tu sei la vergogna in persona’; log. atzantarádu ‘svergognato’. Wagner non dà l’etimo, che è dal bab. šamṭu, šanṭu ‘torn loose’ (essere ‘una frana totale’, uno ‘straccio d’uomo’, una persona ‘impresentabile’). Ma forse è più congrua l’etimologia sum. za’am ‘pietra’ + tar ‘abbattere’, ‘tagliare’. Con ciò abbiamo il significato di ‘pietra abbattuta, fatta a pezzi’. In questo caso ci troviamo davanti a una situazione creatasi dopo il VI secolo dell’era cristiana, allorché fu dato ordine di abbattere dovunque le decine di migliaia di menhirs (perdas fittas) che costellavano la Sardegna. La memoria dei padri fu evidentemente dura a morire, e il popolo considerò ancora per molti secoli come una vergogna quegli abbattimenti contrari alla religione dei padri. Da qui il significato di tzántara.

Salvatore Dedola,
glottologo-semitista

Nell’immagine: l’incipit “T”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009.

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