Sabato 13 marzo, nelle sale di Su Nuraghe di Biella, Marinella Solinas ha presentato Efis, Martiri gloriosu, film di Gianfranco Cabiddu prodotto dall’ISRE, l’Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna.
Nell’anno 1652 la Sardegna venne decimata da una terribile pestilenza: a Cagliari la popolazione si ridusse della metà, ovunque era morte e disperazione.
La gente, allora, si rivolse ad un martire di nome Efisio di Elia che venne decapitato a Nora, una località della costa cagliaritana, per non aver rinnegato la fede cristiana. Efisio ci ricorda San Paolo sulla via di Damasco poiché anch’egli, da persecutore, dopo una visione, divenne il più fervente seguace di Gesù.
Efisio fu rinchiuso in un carcere della città dove oggi sorge la Chiesa a lui intitolata e fu trasferito in segreto per evitare che la gente potesse opporsi alla sentenza emessa a suo carico: la decapitazione.
Fu decapitato sulla spiaggia di Nora da un soldato romano nel 303.
Il culto si diffuse in tutta Cagliari e in tutta la Sardegna: la cripta del quartiere Stampace che fu il suo carcere divenne ben presto un centro di grande spiritualità mentre a Nora (luogo del martirio) venne eretta una deliziosa chiesetta che oggi è sepolta dalle acque del mare.
Ma fu in occasione della peste del 1650 che viene descritta anche dal Manzoni ne “I promessi sposi” che Efisio diventato Santo legò per sempre il suo nome a quello di Cagliari e della Sardegna.
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La rassegna personale, inaugurata nel mese di settembre 2008, dal suggestivo titolo: il ciel la juta, rimanda al supporto materico su cui sono rappresentati gli animali. Tra i soggetti dipinti, diciassette esemplari hanno il loro habitat naturale sia in Piemonte, sia in Sardegna. Come la natura condivide le proprie ricchezze, Andrea Quaregna, Socio piemontese dell’Associazione dei Sardi di Biella, offre immagini, poesia ed emozioni.
Osservare il lavoro del tempo sulla natura, percepire il trascorrere delle stagioni attraverso la variazione costante dei colori e delle forme degli alberi e delle foglie, immergersi in un mondo dai ritmi lenti, fino a che il cuore si calma ed entra in risonanza con esso.
Il dottor Battista Saiu mi ha consegnato una lista di animali da esaminare e possibilmente commentare. Ma alcuni di questi volatili nemmeno li conosco, come non conoscevo i loro nomi in sardo, per non parlare di quello scientifico. Una lettura difficile e misteriosa. Che cosa dovevo fare? Allora mi sono avventurato in un’indagine etimologica e semantica (una mia antica passione maniacale, purtroppo interrotta da alcuni lustri per mancanza di tempo: la vita condizionata da troppi impegni).
Il chicco di grano è uno dei simboli più presenti e pregnanti nella storia delle religioni e delle società. Esso richiama il ciclo della vita, la fertilità della terra ed il cibo, in quanto elemento base per la produzione alimentare. Per queste sue caratteristiche è stato utilizzato iconograficamente in vari culti pre-cristiani di matrice agro-pastorale ((Cfr. J.Chevalier e A.Gheerbrant, Dizionario dei simboli, BUR, Milano, 2008, voce “grano“)) e, non a caso, si ritrova anche all’interno della Bibbia, nel Nuovo Testamento. Il Vangelo di Giovanni, infatti, al Cap. XII, 24-25, propone a riguardo le seguenti parole: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna».