Laboratorio linguistico di Su Nuraghe: l’amicizia in poesia

Martedì 26 maggio, ore 21:00, appuntamento con il Laboratorio linguistico sardo-piemontese-castigliano – collegamento transoceanico con il Circolo sardo “Antonio Segni” di la Plata (Argentina) – Tra i testi, due poesie sull’amicizia di Nicola Loi di Ortueri (Nuoro), scritte per Su Nuraghe di Biella: “A unu amigu/a un amico” e “S’amigu bonu/l’amico buono”.

Quercus pubescensPietre del tempo

Noi siamo antichi. Discendiamo da stirpi fiere, di cui conserviamo e riconosciamo la memoria in quei valori che ci distinguono, ci individuano, ci premiano. Nel bene e nel male. Fierezza, onore, senso morale, lealtà e libertà: ma, soprattutto, amicizia e fedeltà alla parola data.
A volte, il nostro modo di essere, quel modo tutto nostro di porsi, può parere un’ostentazione; quasi un azzardo, una scommessa, che, purtroppo, si può anche perdere. Perché la nostra antichità ci porta ad essere venati di un oraziano italicum acetum, di un umorismo salace e arguto, che non sempre è capito da chi non è uno di noi. Perché – noi lo sappiamo bene -, da quell’umorismo, intriso di amarezza, sono sempre estranee la cattiveria e l’irrisione. Non è da noi. Nient’affatto! Perché la persona cui ci si rivolge, l’amico, è specchio fedele di quei valori che sono in ognuno di noi, valori che rimontano alla nostra antica ascendenza e che ad essa guardano e da essa traggono forza: siamo quello che i nostri antichi ci hanno fatti per essere.
L’amico, quell’altro noi, quello dal quale ci aspettiamo ciò che noi siamo e che facciamo per lui, diventa il rifugio delle nostre idee, la cittadella dei nostri sogni; diventa il luogo sicuro, il porto amato a cui tornare, in cui trovare appoggio e comprensione per le nostre idee, per i nostri sentimenti: per le nostre idee – nostre e sue; che, pur non coincidenti, trovano ascolto e disponibilità ad essere capite, ascoltate, discusse: quando affettuosamente quando vivacemente.
E chi, se non l’amico – il nostro noi esterno, il nostro altro io – può sentire all’unisono col sentire nostro, con quella sicurezza che solo può donare la fiducia che l’amicizia regala? Amico è termine legato ad amare; dunque, è persona che si accoglie e si sente nel cuore ancor prima che nella mente: nella mente che, accordata su quella dell’amico, gioisce di, e si affida a, quell’accordo che, per l’appunto, conosciamo e riconosciamo come amicizia.
Però, un però c’è: perché la fiducia che ci fa dire, con il Poeta, che, quello che l’Amico fa, è fatto “con naturalezza…. e senza avere mai una pretesa”; questa stupefacente reciprocità, se mai viene meno, suscita un amaro opposto: l’amicus – così il latino – diviene inimicus; e le due parole latine assai più profondamente dicono dell’italiano amico-nemico.
Allora, tutti i valori, tutta la forza della tradizione antica si fondono in una sofferta amarezza, in un dolore che mai passerà, per quanto il tempo possa essere medicina. Perché solo l’amico potrebbe sentire all’unisono col nostro essere; ma l’amico tale più non è.
E ritorna tutta la solitudine, ritorna tutta l’amarezza, ritorna tutta la fiducia disattesa, ritorna tutta la tristezza della vita, lasciandoci nuovamente soli in un mondo in cui i nostri valori ci sembrano, una volta di più, irrisi e vilipesi. Questo il tradimento dell’amico.
Così siamo, perché è il tempo ad averci forgiati – non il costume, che è soggetto anch’esso al tempo e al momento; è il tempo che ci ha forgiati come quelle pietre antiche che sono la nostra forza interiore, la nostra dirittura morale: quella natura profonda, che a volte lasciamo trasparire, ma solo con l’amico.
Saldi e sicuri, ma anche aspri e ruvidi: come pietre.

Pietro R. Borenu


A un’amigu

Ses in apprettu e pero no furas,
Ca gai t’ant imparadu dae minore.
Mancari sias in mesu a disaùras,
No b’at dinari chi pagat s’onore.

In umilesa ca ses fatu gai,
Ca est birgonza sa disonestade.
E cussa fide no l’imbrutas mai,
Ca juntu andas cun sa bonidade.

E naras: su chi furat est pius ricu,
Faghet curria lada in pedde anzena.
Ma de sentidos est che riu sicu,
Pro pagas dies chi est in piena.

Sa fura paret finas chi fiorit,
Ma cussu frutu mai no madurat.
Ca su male leadu s’iscolorit,
E su tempus etotu che lu furat.

Su tempus no est semper bacas rassas,
Faghet impresse a segare su filu.
E su matzone no perdet sas trassas,
Ma nde li valan paris cun su pilu.

Sa zente chi si bantat s’onestade,
E si nde riet de su poberitu,
Ma sos imboligos e sa frassidade,
Li faghet fagher boghes de crabitu.

No si cuntentaiant de una fita,
Ca cheriant sa bertula piena.
Ma comitzadu ant cun sa vendita,
Cando s’at a truncare sa cadena?

Tue sighis umile su caminu,
E no nde times de cussos castigos.
Cun s’ideale chi jughes in sinu,
Pro te sunt totu frades e amigos.

Oe o crasa su tempus los pagat,
E dae cussu petene no franghet.
Da poi cando meda li fiagat,
Chentu de faghet, una nde pianghet.

Nigolau Loi, 2 de maju 2020

A un amico

Sei nel bisogno e però non rubi,
Perché così ti hanno insegnato da piccolo.
Per quanto (tu) sia in mezzo a disgrazie,
Non c’è denaro che paghi l’onore.

In umiltà perché sei fatto così,
Perché è vergogna la disonestà.
E quella fede non la sporchi mai,
Perché giunto vai con la bonarietà.

E dici: quello che ruba è più ricco,
Fa correggia larga con la pelle altrui.
Ma di sentimenti è come (un) fiume asciutto,
Per pochi giorni chi è in piena.

Il furto sembra anche che fiorisca,
Ma quel frutto mai matura.
Perché il mal preso si scolorisce,
E il tempo stesso che lo ruba.

Il tempo non è sempre vacche grasse,
Fa in fretta a tagliare il filo.
E la volpe non perde le malizie,
Anche se le cade il pelo.

La gente che si vanta di onestà,
E se ne ride del poveretto,
Ma la frode e l’ipocrisia,
Gli fa fare voce di capretto.

Non si accontentavano di una fetta,
Perché volevano la bisaccia piena.
Ma hanno cominciato con la vendita,
Quando si troncherà la catena?

Tu segui umile il cammino,
E non paventare quell’abbondanza.
Con l’ideale che tieni in seno,
Per te sono tutti fratelli e amici.

Oggi o domani il tempo li ricompensa,
A da quella medaglia non allontana.
Allorquando poi molto puzza,
Cento ne fa, una ne piange.

Nicola Loi, 2 maggio 2020

Samigu bonu

Ajo! Chi andamus a sa passizada,
Iscurtzos in sas renas de su mare.
Dae cando custa zente est acorrada,
De menzus già no podet disizare.

Faghet cumprender’ ca sa libertade,
Est unu donu mannu de valore.
Pro chie s’agatat in sa soledade,
Est tristura, piantu e dolore.

Chie la narat cota, chie crua,
Chie la ‘idet torta, chie dereta.
Ma est in su ‘entu sa idea tua,
Cando sa zente no bides chieta.

Ti pones in su malu pensamentu,
Arrivas sero chi pares iscutu.
Cando chi miras a su firmamentu,
De disaura ti paret allutu.

Ma b’est s’amigu chi pro bona sorte,
Si ses in terra ti dat una manu.
Est cuddu chi de coro e manu forte,
Semper afrontat su tempus metzanu.

Est semprer pronta sa figura amiga,
Chi pro totu agatat sa ‘essida.
Est arrivadu dae cudda istiga,
Chi de onores antigos fit bestida.

Che roca de granitu temperada
Ant fatu sos nuraghes majestosos.
E sa domo de jana l’ant picada,
Mastros trabagliadores virtudosos.

E oe tue ses de sos nebodes,
E cussa fortza jughes in s’intragna.
Ma cussa fortza bogas cando podes,
Birde che sas campuras de campagna.

A totucantos pones assistentzia,
Pero lu faghes cun naturalesa.
Gratzias pro esser semper in presentzia,
E sena tenner’ mai una pretesa.

Nigolau Loi, 3 de maju 2020

L’amico buono

Ajò! Che andiamo alla passeggiata,
Scalzi nella sabbia del mare.
Da quando questa gente è chiusa in casa,
Di meglio non può desiderare.

Fa capire che la libertà,
È un grande dono di valore.
Per chi si trova nella solitudine,
È tristezza, pianto e dolore.

Chi la dice cotta, chi cruda,
Chi la vede storta, chi diritta.
Ma è nel vento l’idea tua,
Quando la gente non vedi tranquilla.

Ti metti in cattivo pensamento,
Arriva la sera che sembri bastonato.
Quando guardi il firmamento,
Di calamità ti sembra illuminato.

Ma c’è l’amico che per buona sorte,
Se sei a terra ti dà una mano.
È quello che di cuore e mano forte,
Sempre affronta il tempo cattivo.

È sempre pronta la figura amica,
Che per tutto trova l’uscita.
È arrivato da quella stirpe,
Che di onori antichi era vestita.

Come roccia di granito temperata,
Hanno fatto i nuraghe maestosi.
E la domo de jana l’hanno scolpita,
Mastri lavoratori virtuosi.

E oggi tu sei dei nipoti,
E quella forza hai nelle viscere.
Ma quella forza fai uscire quando puoi,
Verde come i prati di campagna.

A tutti dai assistenza,
Però lo fai con naturalezza.
Grazie per essere sempre presente,
E senza avere mai una pretesa.

Nicola Loi, 3 maggio 2020


Nell’immagine: Infiorescenze unisessuali, amenti penduli maschili di Quercus pubescens. Nome italiano: Quercia pubescente, Roverella. Nome sardo: Chercu/Chelcu/Creccu, Orroèle/Orroli, Ruara/Ruvara.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.