Da Bologna a Biella una pietra di memoria per il monumento ai Caduti più inclusivo d’Italia

Virginio MerolaBologna, con Torino, Cagliari e Genova, è tra i primi capoluoghi di regione ad avere inviato a Biella la sua “pietra di memoria”, rispondendo all’invito del Sindaco Claudio Corradino e del Circolo Culturale Sardo Su Nuraghe promotore dell’iniziativa. Il manufatto è destinato alla pavimentazione monumentale in corso d’opera presso il Nuraghe Chervu, alle porte della città. Si tratta di un ampio lastricato costituito da pietre di riuso giunte da ogni parte d’Italia, ognuna incisa con il nome del Comune di provenienza e il numero dei suoi Caduti durante la Grande Guerra.
Il progetto, inizialmente inserito nel programma ufficiale per le commemorazioni di interesse nazionale del centenario della Prima guerra mondiale, prevede la posa progressiva, nel corso degli anni, di pietre provenienti da tutti i 7904 Comuni italiani. Il selciato, inaugurato il 17 marzo 2019 – presente la Banda militare della Brigata “Sassari”, 130 sindaci in fascia tricolore provenienti da Piemonte e Sardegna e le massime autorità locali – comprende a oggi 250 elementi. Circa altrettanti, tra cui la lastra donata dalla “Dotta” capitale dell’Emilia, sono custoditi nei magazzini comunali in attesa di essere posizionati alla prima occasione, per incrementare lo straordinario puzzle destinato a diventare uno dei monumenti più “inclusivi” della Nazione.
Durante il conflitto, Bologna, pur essendo lontana dalle linee del fronte, ebbe un ruolo fondamentale nelle retrovie. La città era impegnata principalmente nella produzione di armi e munizioni, lavoro pesante svolto in maggioranza dalle donne. Furono sempre le donne, per lo più, a dedicarsi con dedizione alla cura dei feriti, all’assistenza dei mutilati e all’accoglienza dei profughi dalle zone di guerra, soprattutto dopo la disfatta di Caporetto. Per ospitare il maggior numero possibile di feriti e reduci vennero requisiti molti edifici, tra cui scuole, istituti e anche alcuni cinematografi.
La Città di Bologna ha pagato un tributo di sangue altissimo, con i suoi 2536 Caduti, ma i morti e i dispersi della provincia, censiti dall’Ufficio Notizie, furono più di quattordicimila.
Due sono i principali luoghi della memoria che essa ha dedicato ai suoi martiri, entrambi istituiti in epoca fascista. Il primo è il Lapidario di Santo Stefano, inaugurato nel 1925 dal Re Vittorio Emanuele III, con le iscrizioni dei nomi di tutti i 2536 Caduti nella Prima guerra mondiale (a cui saranno aggiunti – nel 1949 – i 2059 della Seconda).
Il secondo, risalente agli anni Trenta, è l’Ossario ipogeo della Certosa, in cui riposano insieme soldati italiani e austriaci, uniti dal “triste destino di una fine precoce”.
Realizzato su progetto di Arturo Carpi e Filippo Buriani, il sacrario raccoglie i resti di circa tremila combattenti italiani deceduti durante il ricovero negli ospedali di guerra cittadini. Vi sono inoltre tumulate le ossa di centinaia di soldati austro-ungarici, morti nei campi di prigionia del territorio bolognese. L’8 agosto del 1940, con una cerimonia solenne, vi furono traslate anche le spoglie del padre barnabita Ugo Bassi, eroe-martire risorgimentale fucilato dagli Austriaci poco lontano, nel 1849. L’intento del fascismo era quello di saldare propagandisticamente in un unico ambiente i Caduti del Risorgimento a quelli della Prima guerra mondiale, considerata dalla storiografia – e dalla cultura popolare del tempo – come la IV guerra d’indipendenza.

Riccardo Pozzo

Nelle immagini, il Sindaco di Bologna, Virginio Merola, con la pietra della memoria destinata alla Città di Biella.

Bologna, pietra della memoria destinata alla Città di Biella

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