Parole come tessere di intarsio nella poesia per le lavoratrici disconosciute

 intarsio di pavimento, opera Mauro ZanellaSe da una parte è vero che non bisogna essere poeti per mettere sulla carta le proprie emozioni, è pur anche vero che al poeta, oltre al compito del dire, è affidato anche quello di arrivare al cuore e alla mente attraverso le parole messe al giusto posto. Parole che, come tessere d’intarsio, perfettamente combaciano sono quelle dei versi di Nicola Loi di Ortueri, Nuoro, appositamente scritte per il Laboratorio Linguistico “Eya, emmo, sì: là dove il sì suona, s’emmo e s’eya cantant”. Incontri quotidiani in versi attivati sui social di Su Nuraghe in tempi di divieti e restrizioni; alcune, come in questo caso, verranno inserite tra i testi per gli incontri mensili transoceanici tra il Circulo sardo “Antonio Segni” di La Plata (Argentina) e il Circolo sardo di Biella.
A sas trabagliadoras disconnotas / Alle lavoratrici disconosciute”, nella libera traduzione di Grazia Saiu, sono dedicate le dodici quartine che il poeta contemporaneo fa giungere da di là del mare ai fratelli isolani che vivono all’ombra del Mucrone. Parole ancora dissonanti in tempo di scarpe rosse e violenze sulle donne sempre più frequenti; in controtendenza su un immaginario che da millenni vuole la donna essere inferiore: creata dalla costola del nostro progenitore come nel libro della Genesi; prima donna mortale donata da Zeus secondo miti ancestrali, profondamente radicati, difficili da superare ed elaborare in chiave ugualitaria.
I versi di Loi sono ode alla donna lavoratrice che, nelle strofe che si susseguono, invitano a riflessione.

Salvatorica Oppes


A sas trabagliadoras disconnotas

Tue chi tota die ses in gherra,
Ses a fainu cun-d-unu tratore.
Ligada a sos trabaglios de sa terra,
Aras, ispedras, semenas laore.

Messas campuras de ispigas biundas,
In sas fogoras fortes de s’istiu.
Cando su bentu carignat sas undas,
E a costazu est sicu su riu.

Tue chi contivizas s’antzianu,
E ligada t’agatas not’e die.
No comporat su pane fitianu,
Ca una misera paga dant a tie.

Cando faghes pius, finas un’ora,
Tando si faghent surdos totucantos.
Pro no bogare unu soddu fora,
Tando nde ‘ogant anghelos e santos.

Tue chi fissa ses in-d-una iscola,
E custos tempos bogant malos-sinnos.
E como no est cosa noitola,
Pienos de pesta betzos e pitzinnos.

Chie cumbatet in-d-un’ispidale,
Pro bindigh’oras tot’a una tirada.
Cussu est abberu trabagliu corale,
Chi mai peruna dama est cumpensada.

Tue bestis onorada una divisa,
As leadu pro sas fortzas armadas.
Chie cosit su caltzone, sa camisa,
Mastra de pannu cun manos fadadas.

Tue chi cantas che una sirena,
Cun s’armonia in oros de mare.
Sas notas bogas a boghe piena,
Che arpa ‘e oro la faghes sonare.

Tue ses pintadera e pintadora,
Ses colorida comente una mela.
Che s’arcu ‘e chelu ses ammajadora,
Cando cun arte pintas una tela.

Sa mastra manna in-dogni coghina,
Cun piatos de o’e de su connotu.
In cue ses abberu sa reina,
Ue sos donos bogas in su totu.

E sas pastoras de s’Isula intrea,
Sunt sas meres de domo e de cuile.
Pro totu s’annu no timent pelea,
No lis falat su sonnu in su foghile.

Ma oe in su duamiza e vintiduos,
Dogn’una ‘e issas bona testimonza.
Ma bi los damus sos diritos suos?
O semus ojos de mala-‘irgonza?

Nigolau Loi, su 4 de frealzu 2022

Alle lavoratrici disconosciute

Tu che combatti ogni giorno,
Lavorando nei campi.
Legata alle attività della terra,
Ari, togli le pietre, semini cereali.

Mieti campi di bionde spighe,
Nel forte calore dell’estate.
Quando il vento accarezza le onde,
E l’alveo del torrente è in secca.

A te che custodisci l’anziano,
E sei legata giorno e notte.
Viene concessa una misera paga,
Non sufficiente per il pane quotidiano.

Quando lavori di più, anche un’ora,
Allora fanno finta di niente.
Per non sborsare un soldo in più,
Tirano in ballo angeli e santi.

Tu che hai un posto fisso nella scuola,
Proprio in questi tempi segnati dall’epidemia,
Cosa che è nota a tutti,
Che colpisce anziani e bambini.

La donna che combatte dentro un ospedale,
Per quindici ore tutta una tirata.
Questo è davvero un lavoro di cuore,
Non viene mai pienamente compensata.

Tu vesti onorata una divisa,
Hai scelto le forze armate.
Tu che cuci pantaloni e camicie,
Sarta esperta con mani di fata.

Tu che canti come una sirena,
Con armonia sulla riva del mare.
Canti a voce spiegata,
Che come un’arpa d’oro fai vibrare.

Tu che sei “pintadera” e pittrice,
Sei colorita come una mela.
Sei ammaliatrice come l’arcobaleno,
Quando con arte colori una tela.

La cuoca, esperta in ogni cucina,
Con piatti nuovi e della tradizione.
Nei quali sei davvero la regina,
Dove i tuoi doni dispieghi del tutto.

E le donne pastore dell’Isola intera,
Reggono la casa e anche l’ovile.
Per tutto l’anno sono indaffarate,
Non si appisolano davanti al focolare.

Ma oggi nel duemilaventidue,
Ognuna di loro (è) buona testimone.
Ma li vogliamo riconoscere i loro diritti?
O vogliamo persistere nella vergogna?

Nicola Loi, 4 febbraio 2022


Nell’immagine, intarsio di pavimento, opera Mauro Zanella

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