Panas, femminiltà sarda, tra donne vive e mesto silenzio

Su Nuraghe FilmSabato 6 Novembre, nei locali di Su Nuraghe di Biella, è stato proiettato il cortometragio «Panas», nell’ambito di “Su Nuraghe Film”, iniziativa realizzata in collaborazione tra il locale Circolo Culturale Sardo ed il prestigioso ISRE, Istituto Superiore Regionale Etnografico della Regione Autonoma della Sardegna, volta a far conoscere, soprattutto alle nuove generazioni, le radici, i caratteri e le peculiarità del patrimonio etnografico isolano attraverso lo strumento del cosiddetto cinema d’autore.
La circostanza ha visto la dott. Lucia Modesto, presentatrice della serata, manifestare a riguardo alcune personali riflessioni a commento ed a stimolo al pubblico presente alla proiezione. Il tema del film, infatti, vede come protagoniste le misteriose Panas, collegandosi, così, ad una questione particolare ed antica nella cultura sarda, quello delle figure femminili in possesso, «…nel bene o nel male, di capacità “soprannaturali”, come nel caso delle Janas, le piccole fate delle rocce, che vivevano in buche scavate nella pietra, le cosiddette domus de janas, o delle Sùrbiles, le donne vampiro che succhiavano il sangue dei neonati, specialmente se non ancora battezzati. Ed ancora sa Filonzana, la Parca sarda che tiene in mano il fuso e fila in continuazione un filo sottile. È il filo del nostro destino e lei lo conosce, è nelle sue mani. Ha il volto coperto da una maschera orribile, cattiva e ambigua».
Il film Panas «inizia di notte, con un’inquadratura su Totoi, ormai vecchio che, saggiamente, vedendo le Panas intente al loro dolente lavoro, guarda e passa oltre, senza disturbarle. La scena si sposta e si ode, dalla finestra della casa di Totoi, il chiacchiericcio di donne che vanno al lavatoio. Totoi chiude la finestra e si appresta ad andare al pascolo, dopo aver salutato la moglie incinta, ma nel mentre la suocera, nel dormiveglia, avverte Totoi di stare attento ad uscire presto perché ci sono le Panas, consiglio che il pastore dimenticherà» temporaneamente. La trama del film vede il suo seguito nella «giornata lavorativa del pastore, costellata da segni e presagi negativi. Totoi sviene e sogna, ha visioni negative: corvi, civette, panni di un bimbo gettati a terra, un topo di fogna sui panni, una pecora che scappa dal gregge, la luna velata, le campanelle delle pecore sempre più forti e assordanti che si trasformano in un suono di campane a morto».
Lucia Modesto, a questo punto ha fatto notare come «Sembrerebbe, da un primo sguardo a questo film, che il protagonista sia Totoi, che non crede nelle antiche leggende sulle Panas e le disturba, parlando loro e attendendo una risposta che non verrà da queste silenziose tormentate donne. Per questo, subirà la loro dura vendetta. Invece le protagoniste sono le Donne, alle quali è peraltro dedicato questo film. Donne che soffrono in silenzio, rassegnate alla loro penitenza, per una colpa che non hanno ma che in fondo, nel loro grande dolore, forse, sono contente di scontare; donne che hanno capacità di “sentire” gli eventi futuri, che hanno una sensibilità e un’attenzione particolare agli eventi della vita».
Si tratta di «un film di contrapposizioni: il chiacchiericcio di donne “vive” che vanno al lavatoio, che si contrappone al mesto silenzio della scena precedente, sempre donne al lavatoio, le Panas, che intonano una dolce ma triste ninnananna. Il regista vuole rappresentare l’eterna lotta fra il bene e il male. Un mondo tra fiaba e realtà». Inoltre domina una «contrapposizione nei “riflessi” che vengono inquadrati nel film. Il “riflesso” del volto di Totoi nel bicchiere di vino, rosso sangue, il “riflesso” delle Panas nel lago. Vino e acqua sono un segno anche religioso». Ad avviso di Lucia Modesto, quindi «il regista vuole richiamare l’attenzione sulla dualità dell’esistenza attraverso lo specchio. Secondo la tradizione di molti popoli, tutto è fatto da due estremi, due opposti, due aspetti di una dualità. Per cui c’è il bene e il male, il fuoco e l’acqua, il buio e la luce, il tutto e il nulla. Tutti gli “specchi” sono illusioni nella creazione della materia densa, come illusione è tutto quello che fa parte dei sensi. La vita esiste attraverso la dualità. L’intero processo della vita dipende da polarità opposte. La vita ha bisogno della dualità. La si troverà ovunque, finché non arriva l’Assoluto. L’Assoluto, il Supremo – lo si può chiamare Dio – supera la dualità, la trascende ma, a quel punto, la vita scompare, l’uomo diventa invisibile».
Colpisce, poi, il volto delle donne. «Ritengo molto incisiva» ha concluso la presentatrice «la scena del film che riprende il volto espressivo della moglie di Totoi, che guarda malinconicamente un bimbo dalla finestra, come se fosse irraggiungibile, con una tristezza infinita, sembra già sapere che non sarà mai madre. E mi vorrei soffermare anche sempre sul volto della Panas alla fine del film, quello utilizzato anche nel manifesto, che riassume tutta la tristezza che questo cortometraggio comunica a chi lo guarda con cuore attento».

Filomena Cuccuru

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