Storie di abbandono, riscatto sociale, amore ed emigrazione

La famiglia Anice

Venerdì 11 settembre 2020 alle 21, a Frossasco (TO), Sala conferenze del Museo regionale dell’emigrazione dei Piemontesi nel mondo – Presentazione del libro “Ero di nessuno” di Giuseppe Anice. Intervengono: Davide Rosso, Carlotta Colombatto, Pietro Clemente e Riccardo Pozzo. Iniziativa sostenuta anche dagli ecomusei, afferenti alla Rete Museale Biellese, che trattano il tema dell’emigrazione: il Centro per la Documentazione sull’Emigrazione “Gian Paolo Chiorino” di Donato e il Museo delle Migrazioni, Cammini e Storie di Popoli di Pettinengo.
«Quello che subito mi ferì fu la reazione glaciale e sprezzante di quando seppero che ero figlio di nessuno. Per loro ero solo un bastardino, non degno di essere considerato e trattato come un civile. Per loro il mio nome era ’l bastard e questo era un insulto che mi faceva male. Mi sentivo degradato e umiliato come se davvero fosse mia la colpa del mio stato di Trovatello»
Così scrive Giuseppe Anice nella sua autobiografia Ero di nessuno, edizioni Effigi 2019, che sarà presentata venerdì 11 settembre alle ore 21,00 al Museo regionale dell’emigrazione dei Piemontesi nel mondo di Frossasco (TO). È una storia di abbandono, ruralità e povertà. Il “vaccaretto” Giuseppe Anice nasce a Biella nel 1894. Sua madre, “una donna nubile che non desidera essere nominata”, lo abbandona all’Ospizio degli Esposti il due giugno di quell’anno. Per Giuseppe inizia un’infanzia solcata tanto dai maltrattamenti subiti dalle assistenti dell’Orfanotrofio, quanto dallo sfruttamento da parte delle famiglie alle quali viene via via affidato, per lo più per ottenere il “baliatico” un piccolo sussidio che per molte famiglie, spesso numerose, poteva fare la differenza. Il complesso percorso di emancipazione e di conquista della dignità di persona comincia all’età di quindici anni, grazie al lavoro come panettiere, prosegue con la felice storia d’amore con Mariulin – figlia della sua prima Balia – e culmina con l’emigrazione in Francia, a Grenoble, dove trascorrerà circa vent’anni prima di rientrare in Italia ad accudire la moglie ormai malata.
Le vicende che narra, raccolte in tre quaderni manoscritti, coprono un arco temporale di 74 anni.
Il testo è ricco di aneddoti autobiografici e riferimenti alla storia del suo tempo, cenni sul passaggio del secolo, la Grande Guerra, il fascismo, la seconda guerra mondiale, la Resistenza.
La storia d’amore tra Giusep e Mariulin è il vero filo conduttore che attraversa tutta la vicenda narrata. Un amore sincero e inossidabile da cui “sbocceranno” – usando le sue parole – cinque figli, due femmine e tre maschi, tutti emigrati in Francia ad eccezione di Dea che resterà a Biella avendo sposato l’Occhieppese Enos Pozzo. Dal racconto emergono temi e valori di una civiltà che non esiste più, quelli dell’infanzia abbandonata, della vita contadina, del lavoro come possibilità di emancipazione e riscatto sociale. Giusèp imparerà il mestiere del panettiere, mestiere a cui dedica molta parte del suo scritto, metterà su una panetteria, ma poi, ostacolato dal podestà locale che lo ridurrà al fallimento, sarà costretto a emigrare.
Lo stile del Pepé – così era chiamato dai famigliari – nonostante non avesse terminato la seconda elementare, è gradevole, non privo di gusto e denota una certa abilità nell’affabulazione, quasi letteraria. I destinatari delle memorie sono i suoi figli, a cui rivolge spesso raccomandazioni e consigli di vita e a cui affida riflessioni e ricordi che delineano una precisa visione del mondo.
Dopo l’introduzione e i saluti di Davide Rosso, prenderà la parola Carlotta Colombatto, direttrice del Museo, per esporre qualche cenno sull’emigrazione piemontese in Francia a partire dall’esperienza di Giuseppe Anice. Il libro sarà presentato dall’antropologo Pietro Clemente, già professore alle Università di Siena, Roma e Firenze. Sardo di origine – e quindi anche lui migrante, sebbene “culturale” – Clemente è uno dei massimi esperti italiani di museologia e storia demo-etno-antropologica. Ero di nessuno, per Clemente «rappresenta la sintesi di tanti aspetti che sono alla base del valore straordinario che attribuisco alle scritture della gente comune. C’era il “prendere la parola” di un uomo dalla vita dolorosa e difficile, quindi un gesto di democrazia e un atto di “presenza” nella storia, c’era un racconto in cui la fatica si legava ai sentimenti, ai desideri, agli affetti negati e conquistati, aspetti rari nella scrittura popolare, c’era la forza di una scrittura intrecciata con l’oralità, costruita nel desiderio di tramandare e senza timore reverenziale verso le norme della lingua, e c’era soprattutto l’atto di volere fondare, nella scrittura, la nascita di una “dinastia” che da lui cominciava e che lo ricompensava di ciò che gli era mancato, lui senza madre, senza padri e nonni aveva costruito una discendenza e poteva trasmettere il messaggio della sua vita a figli, nipoti e bisnipoti».
Presentando alcune immagini e racconti tratti dall’archivio di famiglia, chiuderà la serata il pronipote dell’autore Riccardo Pozzo, che ha depositato il testo di Giuseppe Anice all’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano nel 2014.
La pubblicazione del libro Ero di nessuno è stata possibile anche grazie all’impegno del Centro per lo studio e la documentazione delle società di mutuo soccorso di Borgomanero, dell’Università del Piemonte Orientale e dei comuni di Donato e Muzzano.
L’evento si svolgerà nella sala conferenze del Museo. Nel rispetto delle norme anti-covid 19, gli ingressi saranno contingentati. Si consiglia la prenotazione.
info@museoemigrazionepiemontese.org – tel.: 371 116 55 06.
La storia di Giuseppe Anice è una sorta di epopea personale che è anche narrazione storica, capace di gettare luce sulla dimensione economica e sociale nella quale affonda le radici la Grande Emigrazione italiana. Una vita e il suo riscatto, capaci di trasmettere e insegnare qualcosa a tutti anche ai giorni nostri.

Michele Careddu

Nell’immagine: 1923. La famiglia Anice, con amici, a bordo del prototipo “Tipo 1” dell’autovettura Rubino, uscito due anni prima dalle omonime officine di Netro. Sullo sfondo l’hotel San Pietro di Donato. Copertina del libro di Giuseppe Anice.

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