Aprile, una parola sarda al mese: “P” come “Perdasdefógu”

Radici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico, di storia e di cultura sarda a Biella

incipit P in Giampaolo Mele, Die ac NoctePERDASDEFÓGU nome di un villaggio dell’Ogliastra. Un toponimo identico presso Sorso (in Anglona). Letteralmente significa ‘pietre da fuoco’, in tal caso riferibile al calcare usato per le fornaci da calce (ma ciò può interessare soltanto il villaggio ogliastrino).
Un tempo in Ogliastra Perdasdefogu veniva anche chiamato Foghésu, che parimenti semberebbe aggettivo riferito al fuoco (fogu), anzi alla ‘fornace’ (della calce): infatti nell’area si ritrovano fornaci da calce abbandonate. Ma per Foghésu sarebbe possibile anche una base diversa, riferibile ad antiche coltivazioni di piante da frutto, per le quali Foghésu era forse specializzata. In tal caso vedi la base akk. bu’’ûm ‘ask for, aspire to’ + eṣ()u ‘fruit bearing tree, orchard tree, mountain tree’. Con questa accezione Foghésu avrebbe il significato primitivo di ‘(villaggio) ricercato, richiesto per le piante da frutto’. Ma francamente quest’ipotesi è lambiccata, e sarebbe molto meglio considerare Foghesu l’aggettivale di (Perdasde)fogu.
Per il termine intero Perdas-de-fogu è comunque migliore una base relativa all’akk. perdum (a kind of equid) + tēbû(m) (animal) ‘lively, active; vivace’, ‘to distrust, avere diffidenza’ + sum. gu ‘side’. In tal caso si può interpretare il tri-composto perdumtēbûgu come ‘sito di cavalli selvaggi’. Al riguardo segnalo che in Sardegna nei tempi arcaici c’erano parecchi luoghi dove pascolavano equini selvatici. Vedi alle voci Perdáxius (Sulcis), Perdédu (Barbàgia). Rammento inoltre il territorio di Neonéli e quello dell’Asinara – dove ancora oggi vivono in libertà gli asinelli bianchi – nonché la Giara di Gésturi, dove si ritiene che gli attuali cavalli selvaggi (oggi non più “nani” a causa di una forzosa selezione) ci vivano da tempo immemorabile; al riguardo è assai riduttivo pensare che ad introdurre l’equino siano stati i Punici, considerato che gli equini europei sono stati già dipinti nelle grotte di Lascaux-Chauvet nell’Alto Paleolitico.
Oltre a quelli citati, un altro sito sardo dove pascolavano equini selvaggi è Escalaplano, pronunciato Scallepranu, da akk. qallu ‘little, small’ of animal + parûm ‘mulo’. Il bi-composto assunse il sum. nu indicante la professione, l’incarico, la situazione (che poi è diventato suffissoide-aggettivale mediterraneo in –nu), La composizione originaria dovette essere qallu-par-anu col significato di ‘(sito dei) muli selvatici’ o ‘(sito degli) asini selvatici’. Anche il toponimo Is Arràntas (sempre in agro di Escalaplano) indica lo stesso fenomeno, da akk. arantu, araddu ‘wild ass, asino selvatico’.
Ricordo che gli equini hanno bisogno di bere regolarmente. Per questo stanno nella Giara che ha molti stagni; per gli altri paesi basta ricordare che stanno accanto ai fiumi (ad es., Perdasdefogu ed Escalaplano sta accanto al Flumineddu, il monte Perdedu sta accanto al Flumendosa).

Salvatore Dedola,
glottologo-semitista

Nell’immagine: l’incipit “P”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009

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