Pettinengo, Museo delle Migrazioni: “brace che cova sotto la cenere”

descrizione

Brace che cova sotto la cenere. Una metafora per cercare di spiegare come e perché io abbia scritto “Il Dopo”. Gli amici Battista Saiu e Dino Gentile hanno scelto questa metafora, la metafora della brace. Perché?

Perché se si parla di “brace sotto la cenere” significa parlare di qualcosa di vivo anche se non lo si vede. La brace è un fuoco che non c’è più eppure esiste ancora, respira ancora. E conserva, e rilascia, ed esprime una sua vita segreta fatta di calore e di luce. Una coltre di cenere la ricopre, nessuno la vede, eppure la brace è lì a pulsare come cosa viva. Se, dopo una sera passata insieme intorno al fuoco, al mattino guardi dentro alla stufa, o nel caminetto, o nel focolare, ti sembra di vedere solo cenere. Ma basta che tu soffi e la brace riappare con il suo rosso acceso, il suo calore amico e tu grazie a lei puoi riaccendere il fuoco e tornare a chiamare intorno a te i tuoi amici e tutte le persone a cui vuoi bene. Intorno a quel fuoco puoi tornare a stare insieme.

Ecco, è questo il tipo di brace che sono andato cercando quando ho scritto “Il Dopo”, come hanno perfettamente colto gli amici Battista e Dino. In questo romanzo ho cercato di raccontare un modo di stare insieme. Nel “Dopo”, e più in generale a Lessona, – ma questo vale per ogni paese al mondo – si stava insieme così, come intorno a un fuoco.

Era un mondo contadino, non c’erano cinema, televisioni, computer. O meglio, nel “Dopo” si vivevano gli ultimi scampoli di un modo d’essere che era stato contadino e che si avviava ad essere industriale. I contadini andavano scoprendo che a fare l’operaio si faticava meno e si guadagnava di più. Ma la sera continuavano ad andare nel Dopo così come i loro nonni e i loro genitori erano andati nelle stalle. Ci andavano per stare insieme. E che facevano? Esattamente come i loro nonni e i loro genitori si raccontavano storie. Sempre le stesse, storie di gente del paese che la gente del paese aveva sentito già mille volte, eppure sempre nuove, storie avvincenti, divertenti, tragiche, comiche, scandalose, esilaranti. Belle. Così la gente stava insieme.

Ecco, è questa la brace.

Sotto la cenere di oggi, che pure copre il disorientamento di tanti, le storie nel Dopo continuano ad esserci, e a pulsare. Ma ho pensato fosse opportuno cercare di fissarle in un libro, per poterle conservare e – chissà – riuscire a tramandarle.  Sono storie piccole, storie di persone che mai e poi mai potrebbero finire in qualche tg. Eppure, in ognuna di esse c’era (e c’è) un lampo di vita vera, e proprio per questo valeva la pena provarci.

Luciano Clerico

Nell’immagine, Pettinengo, cortile del Museo delle Migrazioni

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