Linguaggi simbolici universali nell’intreccio culturale tra Piemonte, Valle d’Aosta e Sardegna negli ornamenti femminili del lutto
Nel cuore del Canton Gurgo a Pettinengo, presso l’ex dimora storica della famiglia Mazzia, il “Museo delle Migrazioni, Cammini e Storie di Popoli” di via Fiume, 12, si arricchisce di preziose testimonianze che narrano l’intreccio millenario tra culture apparentemente distanti.
Gli ori biellesi donati da Alessandra Ghirardelli – una collana e un paio di orecchini appartenuti a Salvina Antoniotti (1892-1970), levatrice di Pralungo – sono molto più di semplici ornamenti: sono testimoni silenziosi di tradizioni che attraversano l’Italia da Nord a Sud.
La collana, composta da dieci dorini a forma di “olivette”, realizzati con lamina imbutita e saldata secondo la tradizione biellese del XIX secolo, dialoga idealmente con le antiche usanze sarde. Ma sono soprattutto gli orecchini da lutto a bottone per bambina che svelano connessioni inaspettate. Di produzione inglese, secondo Lia Lenti, curatrice de “L’Oro e la Memoria, ornamenti preziosi nella Valle Cervo e nell’Alto Biellese”, questi gioielli “in oro a giaietto lucidato con lavorazione del filo e chiusura ad ardiglione” attestano scambi commerciali che attraversavano non solo le Alpi, ma anche quel braccio di mare sempre trafficato tra l’Oceano Atlantico e il Mare del Nord.
Il parallelismo con la Sardegna emerge con particolare evidenza nell’analisi del costume tradizionale femminile di Desulo, dove la cuffietta (cuguddu) dell’abito femminile è fatta di panno rosso coperto da applicazioni trapezoidali di seta azzurra, delimitate da liste ricamate. Questo copricapo, in omaggio alle quattro Barbagie, presenta colori dominanti rosso, giallo, arancione e azzurro, ma assume una valenza completamente diversa quando si trasforma in segno di lutto. Per le vedove, la vivace cuffia colorata lascia spazio a tonalità sobrie – nero o ocra color caffè – simboleggiando il passaggio a una diversa fase dell’esistenza e manifestando pubblicamente il dolore per la perdita del consorte.
Questa trasformazione cromatica dell’abbigliamento femminile durante il periodo luttuoso non è prerogativa esclusiva della Sardegna. Come testimoniano le tradizioni alpine, anche a Gressoney, nella vicina Valle d’Aosta, gli abiti tradizionali femminili subiscono metamorfosi analoghe: dal rosso scarlatto con galloni dorati si passa al violetto durante funerali e periodi di lutto.
È proprio nella cuffia che si manifesta con maggiore evidenza questo linguaggio simbolico: l’elegante copricapo che, nelle occasioni festive, sfoggia ornamenti dorati, durante il lutto muta i suoi galloni in argento, creando un parallelismo perfetto con il “cuguddu” sardo che, da multicolore, diventa nero.
Anche gioielli e ornamenti seguono la stessa logica cromatica: da oro diventano argento, trasformazione che rispecchiava anticamente i paramenti liturgici, quando i galloni argentei su tessuto nero caratterizzavano i paramenti funebri, prima delle riforme del Concilio Vaticano Secondo.
La trasversalità di questi codici vestimentari rivela come l’umanità abbia sempre utilizzato l’abbigliamento per rappresentare stati d’animo e condizioni sociali. Vestiario e gioielli cambiavano durante il tempo del lutto così come in quello della gioia, al pari dei paramenti sacri, che indicavano il tempo festivo, quello ordinario e quello del dolore. Indipendentemente da mari e montagne, le culture hanno sviluppato linguaggi simbolici sorprendentemente simili.
Il “Museo delle Migrazioni” di Pettinengo, unico presidio extraterritoriale della Regione Autonoma della Sardegna presente in Piemonte, diventa luogo privilegiato per comprendere questi intrecci culturali. L’opportunità di visitare questo spazio, con percorsi guidati e ad accesso gratuito, rimane disponibile durante le ultime domeniche di settembre, nell’orario compreso tra le 14.30 e le 18.30.
È un’occasione significativa che permette al pubblico di essere toccato da narrazioni che intrecciano sentimenti, viaggi, origini e solidarietà, e di scoprire come questo luogo racchiuda memorie, oggetti e suggestioni capaci di raccontare secoli di spostamenti umani e di scambi culturali.
Le possibili ricadute economiche e turistiche tra Piemonte e Sardegna si prospettano considerevoli. Il museo rappresenta infatti un punto di incontro fra due terre apparentemente lontane ma unite da oltre trecento anni di storia comune e di antiche rotte migratorie: una connessione che, nel presente, potrebbe catalizzare flussi turistici bidirezionali, favorendo la scoperta reciproca delle tradizioni alpine e insulari.
I gioielli esposti permetteranno al visitatore di guardare ben oltre il proprio spazio quotidiano, scoprendo come oggetti e culture viaggino attraverso i secoli, e come uomini e cose si intreccino influenzandosi reciprocamente.
Gli ornamenti da lutto, in particolare, raccontano storie di donne che hanno attraversato il dolore con dignità, trasformando la sofferenza in linguaggio simbolico universale, capace di unire montagne e isole, valli piemontesi e altipiani sardi in un’unica narrazione umana.
In questo dialogo silenzioso tra ori biellesi e tradizioni sarde, tra cuffie colorate barbaricine, che si tingono di nero, e galloni che, da oro, diventano d’argento, si rivela la profonda umanità di gesti antichi che continuano a parlarci lungo i secoli, sussurrando storie di emigrazioni, di radici e memorie che nessuna distanza geografica può cancellare.
Battista Saiu
Nell’immagine, Alessandra Ghirardelli e gli ori biellesi di Salvina Antoniotti donati al Museo delle Migrazioni di Pettinengo; ritratto di Salvina Antoniotti.