Omaggio dei Sardi dell’Altrove alla terra di accoglienza, “omagià daj Sardagneuj fòra ’d Finagi” nel centenario della nascita di Barba Tòni Bodrìe
Nei versi di uno dei più grandi lirici bilingui (occitano e piemontese), Barba Tòni Bodrìe, affiorano parole che descrivono i costumi e le usanze d’una volta. La sua poesia è una minuziosa rassegna di danze, di feste, di stagioni, di credenze e di leggende. In questo distico troviamo le due parole, ombris (il bacìo, con l’accento tonico sulla “ì”, cioè il versante all’ombra della montagna) e il solì (il lato esposto al sole), sulle aie (àira, spiazzo ricoperto di catrame, su cui si mettevano a seccare i raccolti, ma che servivano anche per le feste campagnole) o sulle piazze, si vedevano fërlòche (graziose cuffie bianche che si allacciavano sotto al mento) e fòfo (ciuffo lungo della capigliatura maschile, lasciato cadere liberamente sulla fronte, a mo’ di “bravo” di manzoniana memoria), carmagnole (lunga giacca maschile, ma anche vivace danza molto popolare), gipe (lunghe sottane), frandieuj (detti anche sfojor, giovanotti focosi) e barivele (ragazze birichine, allegre, spensierate, dove il termine barivela contrasta con quello di mariòira, ragazza da sposare), il tutto in gran costum (che poi il poeta, a più riprese, descrive nei minimi dettagli nelle bellissime poesie del volume intitolato Val d’Inghildon).Continua a leggere →