Bonas Pascas tre volte: de Nadale, Manna e de Flores

Sabato 19 dicembre, Biblioteca Su Nuraghe di Biella – inaugurazione della mostra “Fiori di filet” – presentazione di Su Calendariu 2010 – serata di Auguri: “Bonas Pascas, a Largos annoso” – Buon Natale e Buon anno

cartoncino auguriTre sono le Pasque dei Sardi: Pasca de Nadale, Pasca Manna e Pasca de Flores; segnano l’evoluzione dell’anno liturgico – da Natale a Pentecoste – incardinato nella Pasqua di Resurrezione: Pasca Manna.
Pasca de Nadale, preceduta dal tempo penitenziale dell’Avvento, celebra la festa del Bambino, nuova luce che nasce, virgulto di antica radice nella Notte santa, anticipatrice del giorno più corto, saluto al Sole che incrementerà durata e intensità luminosa dal solstizio d’inverno.
Pasca Manna o de Abrile cade nel momento in cui luce e tenebra sono di uguale durata, l’equinozio tra luce e buio, sempre in relazione con la Luna “piena” di Sole.
Il ciclo si completa cinquanta giorni dopo con la Pentecoste, Pasca de Flores, “dei fiori”. Il nome rimanda alla rosatio o festa delle rose tanto cara ai Romani, una cerimonia fatta propria dai Cristiani del V secolo quando l’imperatore Foca diede il permesso a Papa Bonifacio IV di dedicare a Santa Maria ad Martyres il Pantheon elevato da Agrippa (+12 a.C.) in onore di Giove vendicatore, chiamato Quernus, quercus, quercia, pianta sacra al pari della vite, simbolo del sommo dio romano.
Dall’alto del lucernario aperto nella cupola maestosa, si faceva piovere entro il tempio un nembo di fiori e petali di rose, che scendevano sopra i fedeli. La cerimonia venne estesa ad altre solennità. A Santa Maria Maggiore, per esempio, si fa ancora nel giorno anniversario della sua dedicazione (5 agosto) con rose bianche e gelsomini, e diede origine alla leggenda medievale della neve. Quella del Pantheon venne poi riportata alla Domenica fra l’Ottava dell’Ascensione, che si chiamò quindi Dominica de rosa, finché, smarrito il significato primitivo, venne posta in relazione con la prossima venuta dello Spirito Santo.

La diffusione di queste ritualità – attestata in diverse parti tra cui Puglia, Calabria e Toscana – si arricchì col getto di foglie di quercia incendiate a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo tra gli Apostoli in forma di fuoco.
Antiche ritualità sussunte dal Cristianesimo, conservate e tramandate dalla Chiesa che, secondo alcuni studiosi, rimanderebbero a forme arcaiche di magismo popolare “per aiutare il Sole a splendere” a rimanere “acceso, a riaccendersi”, non dissimile da quanto accade ancora oggi nel Biellese quando le fiaccole, realizzate con corteccia di ciliegio selvatico, vengono ruotate per accendere i falò di Natale.
A questo proposito si rimanda a quanto pubblicato in merito ai fuochi solstiziali piemontesi. “L’accensione dei falò viene effettuata con “paiareu” a Rongio di Masserano (Biella), con i “vantrel” a Viù (Torino), con le “fusele” a Mosso (Biella), con le “arsciole” a Strona (Biella). Si tratta di girandole infuocate, fatte roteare prima di incendiare la pira. Nel moto circolare si scorge il permanere di un rito di magia simpatetica, quasi a voler incoraggiare il sole a riprendere il suo ciclo nel momento in cui i raggi arrivano deboli sulla terra. Gesti di propiziazione di nuova vita, di fecondità e di abbondanza.
Fino a un recente passato, quando si ruotavano le “arsciole“, le fiaccole, si cantavano anche dei ritornelli scherzosi: “Arsciole, carole, mundine, salveghe, tutti i fumne mustru i breghe“. Una nota filastrocca conosciuta e cantata nella variante:”Arscioli caroli, murandine salveghete salveghe, el feu ‘n te le breghe“, dove il feu, il fuoco e il mostrare le breghe rimanderebbe alla capacità generativa custodita dentro le mutande,‘n te le breghe.

Bonas Pascas, Battista Saiu


Nell’immagine: cartoncino di auguri, invito alla mostra “Fiori di filet”, inaugurazione sabato 19 dicembre, saloni Biblioteca Su Nuraghe di Biella.

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