Na paròla piemontèisa al mèis, ottobre / otóber, “E” come “Eva”

Omaggio dei Sardi dell’Altrove alla terra di accoglienza, “omagià daj Sardagneuj fòra ’d Finagi”.

descrizioneMolti pensano – erroneamente – che le “piccole lingue” non abbiano tutte le parole che invece le grandi lingue posseggono. Le lingue “piccole” sono così definite perché il numero dei loro locutori è minuscolo, ma non il novero delle loro parole. Ogni lingua è capace di esprimere l’intera gamma delle percezioni sensoriali e sentimentali dell’umanità, quale che sia la sua ubicazione nel tempo e nello spazio. Qui il poeta Tavo Burat, biellese, usa una serie di parole che dimostrano la valenza del lessico piemontese ad esprimere percezioni minime di luci e di suoni, così come si farebbe con una qualsiasi altra grande lingua letteraria (tutte le parole qui utilizzate sono reperibili nei 14 dizionari storici del piemontese, dal 1783 al momento attuale):
pilie luisente ch’a s’anfongo ant l’eva tramblo na frisa si mè seugn s’aramba an sl’onda grassiosa ch’a schërpa sle brove [Tavo] = pilastri lucenti che affondano nell’acqua tremano un poco se il mio sogno s’accosta sull’onda garbata che sciaborda la riva“.
Non si tratta quindi di neologismi o di parole inventate, ma di parole utilizzate dai piemontesi nel millenario corso della loro civiltà. Purtroppo molti piemontesi, che non hanno studiato la loro lingua ancestrale e non ne hanno letto i capolavori letterari non le conoscono.

Sergi Girardin (Sergio Maria Gilardino)

Nell’immagine: l’incipit “E”, Sacramentarium Episcopi Warmundi (Sacramentario del Vescovo Warmondo di Ivrea): fine secolo X, Ivrea, Biblioteca Capitolare, Ms 31 LXXXVI). Priuli Verlucca,1990, copia posseduta a Biella dal Comm. Mario Coda

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