Na paròla piemontèisa al mèis, febbraio / fevré, “D” come “Dun-a”

Omaggio dei Sardi dell’Altrove alla terra di accoglienza, “omagià daj Sardagneuj fòra ’d Finagi”

incipit D, in Missale Magnum Festivum Domini Georgii ChallandiLa prima e la seconda parola che proponiamo quest’oggi sono tratte da una bellissima poesia di Elisa Revelli (autrice di ben sei volumi di versi). La prima è l’avverbio dun-a (“tosto, presto, rapidamente”), parola molto antica, ma usata tuttora correntemente, che ricorre spesso in autori del Settecento e dell’Ottocento, come Ignazio Isler e Angelo Brofferio. Buria (“tempesta”) è parola pure antica, ma essa pure di uso frequente in epoca contemporanea. Ecco il verso che le contiene entrambe: dun-a as pasia la buria [Revelli] = tosto s’acquieta la tempesta.
La terza parola, bàila [pl. bàile = nutrice, baila], è stata tratta dai versi altamente – ma molto finemente – patriottici di Tavo Burat. Ecco il verso da cui è stata stralciata: montagne dure, bàile’d mia rassa [Clivio] = montagne dure, nutrici della mia razza.
Varrà la pena di ricordare come Primo Levi, nel passaggio da “scrittore d’occasione” (per opere fondamentali come Se questo è un uomo e La tregua) a scrittore e poeta senza più limiti “memoriali”, per qualche tempo si firmò con uno pseudonimo: Damiano Malabaila, dove “malabaila”, cioè “cattiva nutrice”, sottintende molto più di quanto i critici non piemtofoni abbiano potuto dedurre. Primo Levi ha dimostrato nelle sue opere in prosa di avere una conoscenza minuziosa e vastissima del piemontese, soprattutto di quello parlato nel “ghetto” ebraico di Torino.

Sergi Girardin (Sergio Maria Gilardino)

Nell’immagine: l’incipit “D”, in Missale Magnum Festivum Domini Georgii Challandi (sec. XV), Priuli e Verlucca 1993, copia facsimile posseduta a Biella dal Comm. Mario Coda.

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