Da “Su Nuraghe” una paròla piemontèisa al mèis, Luglio, “V” come “Vers d’una neuit d’istà”

descrizione

Omaggio dei Sardi dell’Altrove alla terra di accoglienza, “omagià daj Sardagneuj fòra ’d Finagi”.

Luigi Armando Olivero (1909-1996) è uno dei più grandi poeti che la lingua piemontese abbia mai avuti. Coltissimo giornalista internazionale, in possesso di un lessico strabiliante in piemontese e in italiano, ottimo traduttore dai classici antichi ai testi più recenti, conoscitore di varie lingue europee ed africane, autore in italiano di romanzi di grande diffusione, ha lasciato un corpus impressionante di poesie (ben mille composizioni) in un piemontese duttile, elegante, ricchissimo, in cui dimostra la più smaliziata padronanza nell’impiego di rime e di metri svariati ed inusitati.

L’estate è la stagione che ha dettato i versi più carnali, più radicati nella propria terra, non solo a Olivero, ma anche a una schiera di altri raffinati poeti lirici (tra cui Pinin Pacòt).

Nella seguente composizione, caratterizzata dall’esclusivo impiego di monostici endecasillabici con l’occasionale impiego dell’enjambement, Olivero inneggia all’estate e alle passioni che essa suscita: si cita qui solo un frammento di questa lunga, sensuale l’elegia, piena di parole rivelanti, da verificare contro la traduzione italiana in calce (chinché, frisa, scantirà, frissoné, dindan-o, orcin, sombra, sofe, dëssela, ciochëtte, seren-a, luminin, frijo, slussi, antesta, corma):

Vers d’una neuit d’istà

Sota ’l chinché steilà dla neuit profonda.

Su lë specc dë smerald ëd la pëschera.

La lun-a a frisa ij sò cavèj dorà.

Ij fij a canto coma un còro ’d grij.

Ij fij ëd seda scantirà dël vent.

Frissoné d’eve sui cussin ëd nita.

Tute le perle dla rosà tra j’erbe.

Fior, fior ch’a dindan-o, orcin dël seugn.

Ël mus-cc a pend, giù da le scòrse ’d j’erbo.

Vos cantarin-e ’d boche përfumà.

Sl’ànima sombra ’l sofe ’d na malìa.

E un miraco ai mè euj, pian, as dëssela.

Le toe man bianche tèise vers ël cel.

(Colombe ch’a-j dan j’ale al desidere).

Ij tò pass cadansà ’d zora ij mè pols.

Ij tò euj: doe ciochëtte a la seren-a.

(Ant le ciochëtte: ’d luminin ch’a frijo).

Ma toe parpèile a bruso coma ’d làver!

Toa boca su la mia: në slussi an cel.

Ij tò dentin contra le mie zanzive.

Noi respiroma ’l respir dle radis.

Sentoma bate un cheur ant ògni feuja.

La toa carn reusa a s-ciòd da la toa vesta.

Silensi ’d neuit d’istà, profum ch’antesta.

Neuit, neuit d’istà, corma ’d velen e ’d blëssa! (1936)

VERSI D’UNA NOTTE D’ESTATE – Sotto la lampada stellata della notte profonda. / Sullo specchio di smeraldo della peschiera. / I fili cantano come un coro di grilli. / I fili di seta stiracchiati del vento. / Fremere d’acque sui cuscini di melma. / Tutte le perle della rugiada fra le erbe. / Fiori, fiori che oscillano, orecchini del sogno. / Il muschio pende, giù dalle scorze degli alberi. / Voci canterine di bocche olezzanti. / Sull’anima ottenebrata, il soffio d’una malia. / E un prodigio ai miei occhi, dolcemente, si svela. / Le tue mani bianche protese al cielo. / (Colombe che danno ali al desiderio). / I tuoi passi ritmati sui miei polsi. / I tuoi occhi: due campanule all’addiaccio. (Nelle campanule: lucciole in fregola). Ma le tue palpebre scottano come labbra! / La tua bocca sulla mia: un lampo in cielo. / Noi respiriamo il respiro delle radici. / Sentiamo palpitare un cuore in ogni foglia. / La tua carne rosea sboccia dalla tua veste. / Silenzio di notte estiva, profumo che inebria. … Notte, notte d’estate, colma di veleno e di bellezza.     

Sergi Girardin (Sergio Maria Gilardino)

Nell’immagine: capolettera “V”, in Missale Magnum Festivum Domini Georgii Challandi (sec. XV), Priuli e Verlucca 1993, copia facsimile posseduta a Biella dal Comm. Mario Coda

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