“Su Rosariu cantadu”: quando la fede unisce Sardegna e Piemonte

descrizioneLe antiche preghiere risuonano in Limba sarda e in Piemontese nell’oratorio di Pettinengo

PETTINENGO – Martedì 20 maggio 2025, l’antico oratorio seicentesco dedicato ai Santi Grato d’Aosta ed Eusebio da Cagliari, situato in Canton Gurgo a Pettinengo, ha ospitato un evento straordinario che ha unito tradizione, fede e identità culturale. L’edificio sacro, restaurato e ridonato alla comunità dal Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe” di Biella con il coinvolgimento delle associazioni e della popolazione locale, è tornato a vivere grazie al gruppo di preghiera del Circolo che, insieme agli abitanti di Canton Gurgo, ha animato la serata con “Su Rosariu cantadu”, creando un momento di profonda spiritualità che ha intrecciato le voci della Sardegna con quelle del Piemonte in un coro di preghiera condivisa.

Un progetto di comunità: dal restauro alla rinascita spirituale

Il recupero dell’oratorio di Canton Gurgo rappresenta un esempio virtuoso di come la passione per la cultura e la fede possa mobilitare energie e risorse per restituire vita a spazi dimenticati. Il Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe” ha promosso e coordinato i lavori di restauro dell’edificio seicentesco, ma il progetto ha coinvolto attivamente le associazioni locali e la popolazione di Pettinengo, creando una vera e propria rete di solidarietà che ha reso possibile il recupero di questo gioiello architettonico.

L’iniziativa testimonia come la cura del patrimonio storico-religioso possa diventare occasione di incontro e collaborazione tra comunità diverse, unite dall’obiettivo comune di preservare e valorizzare le radici spirituali del territorio.

Maggio mariano: un coro di lingue madri

Durante tutto il mese di maggio, l’oratorio di Pettinengo diventa teatro di una tradizione consolidata: ogni sera risuona il Santo Rosario recitato in italiano, latino e piemontese dalla comunità locale. Ma la serata del 20 maggio ha aggiunto una dimensione speciale all’appuntamento, arricchendolo con le melodie della Limba sarda nelle varianti di Belvì e Atzara, che si sono unite armoniosamente al Piemontese nella forma vernacolare di Canton Gurgo, creando un dialogo orante tra due comunità.

Questo intreccio linguistico non è casuale, ma affonda le radici in una storia millenaria che lega indissolubilmente la Sardegna al Piemonte attraverso la figura di Sant’Eusebio da Cagliari, primo vescovo di Vercelli nel IV secolo.

L’eredità di Sant’Eusebio: un santo cagliaritano che unì due terre

La scelta di celebrare insieme Sardi e Piemontesi trova la sua giustificazione storica nella figura del santo cagliaritano. Inviato da Papa Giulio I per cristianizzare il Piemonte ancora pagano, Eusebio divenne protagonista di un’evangelizzazione che lasciò tracce indelebili nel territorio, culminando nella fondazione del santuario “eusebiano” alpino di Santa Maria di Oropa. Il riconoscimento del suo ruolo fondamentale per la regione fu ufficializzato secoli dopo quando Papa Giovanni XXIII lo nominò patrono del Piemonte, suggellando definitivamente il legame tra il santo sardo e la terra subalpina.

La tradizione narra che fu proprio Sant’Eusebio a portare tre statue della Madonna dopo il suo esilio in Cappadocia, Tebaide e Palestina, dove venne confinato per aver difeso la fede nicena. I simulacri, simbolo della sua opera evangelizzatrice, furono collocati rispettivamente a Oropa, a Crea e nella sua Cagliari natale, creando un triangolo sacro che ancora oggi unisce questi territori nella devozione mariana.

Papa Francesco e la “lingua dei nonni”: pregare con il cuore

“Pregare nel proprio idioma è un atto di verità e di rispetto verso se stessi e verso gli altri”, ha dichiarato Battista Saiu, presidente del Circolo Su Nuraghe. “Le lingue madri ci riconducono alle origini, alla semplicità del gesto devoto imparato da bambini. Sono il respiro profondo di una cultura che non vuole scomparire”.

L’iniziativa si inserisce perfettamente nel solco dell’inculturazione della fede, tema particolarmente caro a Papa Francesco, che ha più volte invitato i credenti a riscoprire il valore della preghiera nella “lingua dei nonni”. Il Pontefice ha sottolineato come il Vangelo debba poter parlare al cuore utilizzando i suoni con cui abbiamo appreso le prime parole e spesso anche i primi segni della fede.

Quando l’Ave Maria diventa ponte tra generazioni

“La spiritualità popolare non è mai muta: parla con le parole della terra, con i suoni che abbiamo nel sangue”, ha aggiunto Saiu. “Quando un anziano recita l’Ave Maria in Sardo o in Piemontese, si fa ponte tra generazioni e tra mondi. È così che la fede resta viva”.

Il recupero delle parlate locali nella liturgia, secondo l’insegnamento pontificio, non rappresenta un gesto folcloristico, ma un modo concreto per radicare il messaggio evangelico nella vita delle persone, affinché l’annuncio della Parola non sia solo ascoltato, ma anche compreso, sentito e vissuto.

Canton Gurgo: dove il sacro abbraccia la diversità culturale

L’oratorio di Canton Gurgo si trasforma così in un autentico laboratorio di spiritualità viva, dove il sacro si intreccia con il quotidiano e la diversità linguistica e culturale diventa terreno fertile per una fede incarnata. In questo spazio sacro, le identità sarda e piemontese non si contrappongono ma si abbracciano nella preghiera comune, con gli abitanti locali e i membri del Circolo che hanno unito le loro voci testimoniando che la fede può e deve essere incontro e comunione tra comunità diverse.

In un’epoca caratterizzata da ritmi frenetici che rischiano di soffocare il silenzio interiore, questa iniziativa offre un tempo prezioso di sosta e riflessione. È una pausa dal frastuono del mondo contemporaneo, dove lasciarsi cullare dal suono familiare del parlare materno diventa atto d’amore verso la propria eredità culturale e, insieme, gesto profetico.

“Come un canto che non si spegne”: la fede che si incarna nelle radici

“Quello che avviene qui a Pettinengo è un esempio concreto di come il Vangelo possa farsi carne nelle culture locali”, conclude Saiu. “E se la fede si incarna, può anche restare viva, fertile, generativa. Come un canto che non si spegne”.

Pregare nella propria lingua significa custodire una visione del mondo e difendere la bellezza delle proprie radici. Quando la fede parla la lingua delle origini, il Vangelo si incarna autenticamente nella cultura, creando ponti che uniscono invece di dividere, valorizzando le diversità come ricchezza condivisa.

L’esperienza di Pettinengo dimostra che la tradizione, lungi dall’essere un museo del passato, può diventare strumento di dialogo e crescita, capace di nutrire il presente senza dimenticare le proprie radici.

Salvatorica Oppes

Nell’immagine, partecipanti al Rosario cantato in sardo e recitato in piemontese nell’oratorio di Canton Gurgo di Pettinengo

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