Il lavoro delle mondine al Museo delle Migrazioni di Pettinengo

Marta CampanaAl Museo delle Migrazioni, Cammini e Storie di Popoli, la prima sala che accoglie i visitatori è dedicata alle “donne sole che partono” del Novecento alla ricerca di un lavoro con cui contribuire al sostentamento delle famiglie numerose dell’epoca o per crearsi una propria indipendenza e costruire una nuova identità femminile. Sono in tante giovani donne di bassa estrazione sociale a fare del Biellese la loro casa definitiva, come nel caso di operaie e sartine impiegate nelle numerose e note industrie tessili locali, o provvisoria, come nel caso delle mondine, lavoratrici stagionali per definizione. Queste ultime, in effetti, non erano del tutto sole: erano anzi in migliaia a partire in gruppo ed affollare i treni da Veneto, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte per lavorare insieme nelle risaie intorno a Vercelli, Pavia e naturalmente Biella.
Il compito assegnato alle mondine (o mondariso) consisteva nel trapianto delle piantine laddove il riso non era nato (si faceva un buco con le dita nel fango, sotto il pelo dell’acqua, e si procedeva camminando all’indietro), e nella lunga e continua monda dei campi, ossia nella loro pulizia da piante infestanti che ostacolavano la crescita del riso.
Questo lavoro si svolgeva da fine aprile a inizio giugno, quando le risaie venivano allagate per proteggere dallo sbalzo termico tra giorno e notte le piantine nelle loro prime fasi di crescita, ed è per questo che le mondine lavoravano per tutta la giornata con la spiega ricurva e i piedi nudi e le gambe immerse nell’acqua fino alle ginocchia, alla stregua di sanguisughe e bisce. Per difendersi, le più fortunate (poche) indossavano delle calze sotto la gonna o i più rari pantaloncini, ed infatti nel manichino che potete trovare nel Museo di Pettinengo solo una gamba è coperta dalla calza. L’abbigliamento esposto, ricostruito grazie a donazioni di ex mondine, mostra come i tessuti utilizzati per i loro vestiti fossero di scarsa qualità, a riprova dell’umile origine delle ragazze e del fatto che gli indumenti erano destinati a sbiadirsi e rovinarsi sotto lunghe giornate di sole, da cui ci si riparava con un cappello a tesa larga o con un fazzoletto sulla testa. Queste erano le uniche protezioni a cui le mondine potevano fare affidamento in lunghi e faticosi mesi lontano da casa, ma non si può non pensare a quanto potesse esser prezioso il sostegno tra compagne di lavoro, morale ma anche fisico: bisogna essere in due per portare a casa, a fine stagione, un baule con un quintale di riso come quello che potrete osservare appena entrati al Museo, dove ci troverete pronti ad accogliervi!

Marta Campana

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