Quando la fede parla la lingua delle origini, il Vangelo si incarna nella cultura
Martedì 20 maggio 2025, alle ore 20:15, l’antico oratorio intitolato ai Santi Grato d’Aosta ed Eusebio da Cagliari, in Canton Gurgo a Pettinengo, tornerà a risuonare delle melodie del cuore.
In occasione del mese mariano, verrà intonato “su Rosariu cantadu”, secondo l’antica tradizione sarda, affiancato dalle preghiere nella variante piemontese locale. Un evento carico di significato spirituale e culturale, che rinnova un rito quotidiano e silenzioso, custodito da secoli nel cuore delle Alpi biellesi.
Ogni sera di maggio, infatti, la piccola chiesa seicentesca, gioiello barocco riportato al suo splendore da un attento restauro promosso dal Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe” di Biella, accoglie i fedeli per la recita del Rosario.
Martedì 20, il consueto appuntamento sarà arricchito da un momento straordinario: le preghiere verranno intonate in limba sarda – nelle varianti di Belvì e Atzara – e in piemontese, nella forma vernacolare di Canton Gurgo, sopravvissuta e coltivata grazie a un lavoro di ricerca linguistica sedimentata nel tempo. Un intreccio armonioso di idiomi che dà corpo a una fede radicata nella storia e nelle voci dei luoghi.
«Pregare nel proprio idioma è un atto di verità e di rispetto verso se stessi e verso gli altri», afferma Battista Saiu, presidente del Circolo Su Nuraghe. «Le lingue madri ci riconducono alle origini, alla semplicità del gesto devoto imparato da bambini. Sono il respiro profondo di una cultura che non vuole scomparire».
L’iniziativa si inserisce nel più ampio solco dell’inculturazione della fede, tanto caro a Papa Francesco, che aveva più volte invitato i credenti a riscoprire il valore della preghiera nella “lingua dei nonni”, sottolineando come il Vangelo debba potersi esprimere parlando al cuore, usando i suoni con cui abbiamo appreso le prime parole e, spesso, anche i primi segni della fede. «La fede si trasmette in dialetto», amava ricordare il Pontefice, perché la lingua materna è il canale più diretto per trasmettere l’amore, la tenerezza, il senso profondo dell’incontro con il sacro.
A Pettinengo, questo insegnamento si traduce in una pratica concreta, autentica, vissuta: la preghiera si alza in più lingue, diventando gesto intergenerazionale e interculturale, spazio d’incontro tra comunità diverse che si riconoscono unite nel nome di Maria. Come ricorda il Vangelo di Matteo (18,20): «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».
Per permettere una partecipazione consapevole e condivisa, i testi di “su Rosariu cantadu” verranno distribuiti in appositi fogli di navata, con traduzioni in sardo e piemontese. Non si tratta soltanto di una restituzione filologica, ma di una scelta profondamente pastorale: la parola diventa via per entrare nel mistero della fede, per sentirsi parte di una comunità viva, radicata nella propria realtà e aperta al mondo.
Durante l’incontro, le preghiere sarde verranno intonate secondo le melodie tradizionali di Belvì e Atzara, creando un’alternanza musicale coinvolgente e suggestiva, che trasforma la devozione in canto corale. Questa esperienza, al tempo stesso semplice e intensa, si fa strumento di dialogo interculturale, rito che unisce, senza forzare le diversità, ma valorizzandole come ricchezza.
«La spiritualità popolare non è mai muta: parla con le parole della terra, con i suoni che abbiamo nel sangue», sottolinea ancora Battista Saiu. «Quando un anziano recita l’Ave Maria in sardo o in piemontese, si fa ponte tra generazioni e tra mondi. È così che la fede resta viva».
Stando all’insegnamento di Papa Francesco, il recupero delle parlate locali nella liturgia non è gesto folcloristico, ma modo per radicare il messaggio evangelico nella vita concreta delle persone, affinché l’annuncio della Parola non sia solo ascoltato, ma anche compreso, sentito, vissuto.
L’oratorio di Canton Gurgo si fa laboratorio di spiritualità viva, dove il sacro si intreccia con il quotidiano, dove la diversità linguistica e culturale si muta in terreno fertile per una fede incarnata, radicata, che parla al cuore della gente. In questo spazio sacro, le identità sarda e piemontese non si contrappongono, ma si abbracciano, testimoniando che la fede può – e deve – essere incontro, comunione.
In un’epoca in cui la velocità rischia di soffocare il silenzio interiore, questa iniziativa offre un tempo prezioso di sosta e riflessione, una pausa dal frastuono del mondo, dove lasciarsi ninnare dal suono familiare del parlare materno. Atto d’amore verso la propria eredità culturale e, insieme, gesto profetico: pregare nella propria lingua è custodire una visione del mondo, è difendere la bellezza delle proprie radici.
«Quello che avviene qui a Pettinengo è un esempio concreto di come il Vangelo possa farsi carne nelle culture locali», conclude Saiu. «E se la fede si incarna, può anche restare viva, fertile, generativa. Come un canto che non si spegne».
Salvatorica Oppes
Nell’immagine, facciata dell’oratorio di Canton Gurgo